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CARLO MANGOLINI

Il teatro racconta
tutti noi
«Ripartire era necessario»

Mai avrebbe immaginato la sua prima stagione da direttore artistico nella città di Giulietta e Romeo in una situazione «extraordinaria» come quella che abbiamo (e ancora stiamo) vivendo da quando un nemico invisibile ha travolto, e stravolto completamente, le nostre vite. Carlo Mangolini, direttore artistico delle rassegna del Comune di Verona, che nella nostra città è arrivato con il nuovo incarico nel settembre 2019, non ha avuto davvero un anno facile, di certo non un «debutto» agevole. Arrivato dopo una direzione che durava da oltre 40 anni, quella di Gianpaolo Savorelli, Mangolini, proprio mentre era nel pieno del lavoro per progettare il cartellone dell'Estate Teatrale, ha dovuto fare i conti con lo tsunami che ha bloccato il mondo e chiuso in casa gli italiani, fermato gli spettacoli lasciandoli ancora fino a giugno nella più totale incertezza. Ma non ha mai mollato un giorno: insieme all'amministrazione comunale e in particolare all'assessore ala Cultura Francesca Briani ha continuato a progettare, stravolgendo il programma originario e alla fine a vincere la sfida e a vedere il teatro Romano tornare a vivere.

Mangolini, parliamo del suo arrivo a Verona. Come ha trovato la città? Come si sei inserito nella nuova realtà?
Come ho fatto ogni volta che ho iniziato un'avventura professionale, ho passato i miei primi mesi veronesi ad osservare e ascoltare, per leggere la città, per capirla, per conoscere i diversi artisti e operatori del territorio. Verona è una città di una bellezza abbagliante ma, come per buona parte del Veneto, è un posto ricco di contraddizioni. Per esempio è uno degli avamposti veneti che ha generato alcune delle esperienza artistiche di ricerca più interessanti a livello nazionale (penso a Babilonia Teatri, o per la danza a Chiara Frigo, Camilla Monga o Sonia Brunelli): artisti che però hanno trovato spazio e ascolto fuori dalle mura della città. Ecco, prima di tutto direi che mi sono immerso in tutto questo, poi ho cominciato a pensare e programmare.

E quali linee ha seguito in questo suo lavoro, in particolare per l'Estate Teatrale Veronese?
A me piace pensare ad un teatro che comunica questo nostro tempo, faccio fatica, ma non per snobismo, a immaginare un teatro aulico e distante dalla realtà. Lo dico da spettatore prima ancora che da curatore: da spettatore mi emoziono quando mi ritrovo in quello che accade sul palco: questa è la magia. D'altro canto il mandato dell'amministrazione era stato proprio anche quello di una maggiore attenzione ai temi del contemporaneo, per un ricambio generazionale, così come portare sì artisti di grande nome adatti ad un festival così prestigioso, ma con proposte meno convenzionali. Devo dire che ripensare un festival fortemente legato alla tradizione senza perdere il pubblico che negli anni ha conquistato a fatica, provare a tradirlo pur rispettandolo, non è certo cosa facile. Aver lavorato negli ultimi 10 anni in contesti così diversi e con pubblici altrettanto diversi mi ha fatto capire che non esiste un pubblico intellettualmente superiore ad un altro, semmai esistono diversi sguardi su diversi oggetti scenici che vanno rispettati in egual misura.

E poi c'è stato il lockdown con la necessità di riprogrammare
Il lockdown è diventato in qualche modo parte stessa della nostra stagione. Nell'Estate Teatrale infatti ci sono progetti nati in quel momento o da quel momento o che riflettono sul tema della comunicazione a distanza, anche se spostata indietro nel tempo in una dimensione più epistolare che da call conference. D'altro canto il segno distintivo del progetto che mi piacerebbe realizzare per il futuro si può rintracciare in tre lavori che portano avanti il tentativo di mettere insieme nomi popolari della tradizione, del cinema o della tv e artisti provenienti dalla scena della ricerca. Aver fatto incontrare Ugo Pagliai e Paola Gassman con Babilonia Teatri per realizzare un'inedita riscrittura di «Romeo e Giulietta» oppure Chiara Francini con Fanny e Alexander per «L'amore segreto di Ofelia» di Steven Berkoff o ancora Fabrizio Arcuri con Isabella Ferrari nella «Fedra» di Ghiannis Ritsos, sono i primi segni tangibili di come mi immagino l'Estate Teatrale Veronese che verrà.

Lockdown. «Nella distanza ho sentito la vicinanza» ha detto una volta. In che senso?
Nel senso che è stato proprio nel momento nella forzata distanza fisica che ho avvertito la vicinanza dell'intero sistema teatrale cittadino, ho sentito di essere parte di una comunità che aveva voglia di voltare pagina, di mettersi in gioco e di ricominciare. Per questo devo ringraziare più di chiunque altro l'assessore alla cultura del Comune di Verona Francesca Briani, che è stata la vera chiave di accesso a questo sistema. Il programma di quest'anno è un «unicum», non potrà essere paragonato a nient'altro, per la determinazione con cui abbiamo voluto farlo ma anche per le condizioni senza precedenti nelle quali siamo stati chiamati a realizzarlo. Perché questo presente inedito, completamente da reinventare, ci chiede di costruire pratiche di teatro nuove, nella relazione tra l'uomo-attore e l'uomo-spettatore. Ci siamo dovuti adeguare a nuove disposizioni, a un diverso rapporto tra palco e platea, ma per farlo non abbiamo abdicato alla qualità, anzi abbiamo chiesto ai diversi artisti coinvolti, attori, danzatori e musicisti, di essere nostri sodali e compagni di strada, accettando la sfida di trasformare i limiti in opportunità.

Dopo l'anteprima del festival, a settembre ci aspettano molte serate tra musica, danza e prosa.
Diciamo che da settembre il festival prende maggiormente la sua forma. Il mio obiettivo era dare un'identità a questa programmazione di generi differenti. Shakespeare sarà il filo conduttore, quest'anno nel segno della riscrittura. Avremo infatti quattro grandi opere shakespeariane, Amleto, Re Lear, Macbeth e Riccardo III riletti da autori e attori differenti. E vorrei che Shakespeare restasse come filo rosso anche nella programmazione invernale, tra Grande Teatro e Altro Teatro. Insomma, vorrei rafforzare l'idea di un sistema teatrale veronese che fa capo all'amministrazione comunale con una regia unica.

C'è un progetto anche su Giulietta e Romeo?
Si tratta del mito che per eccellenza si lega a Verona. Il progetto, che si chiama «Generazioni», è di raccontarlo a teatro in modi differenti: usare insomma il Romeo e Giulietta per raccontare i sentimenti e il loro mutare nelle diverse età in una dimensione spazio temporale. Spazio per guardare anche fuori dai confini nazionali e capire come il mito sia stato letto in altre culture; temporale perchè vorremmo toccare il sentimento dell'amore nelle diverse età della vita. Una sorta di percorso di accompagnamento al mito.

ALESSANDRA GALETTO

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