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San Domenico è magica

ARTE SACRA. Sorge in via Del Pontiere a pochi passi dalla tomba di Giulietta: sembra quasi nascosta

È uno dei piccoli grandi capolavori del Barocco All’interno il fascino della pittura illusionistica

In via del Pontiere, al numero 30, a pochi passi dal punto in cui l'Adigetto sfociava nell'Adige e poco distante dalla tomba di Giulietta, completamente nascosto, si affaccia uno dei piccoli grandi capolavori del Barocco veronese: la chiesa di San Domenico. Di proprietà del Comune, è in custodia ed è tenuta aperta da una comunità delle Sorelle della Sacra Famiglia, che ebbero proprio qui la loro fondazione nell'Ottocento, da parte di Leopoldina Naudet.
Di recente si è concluso il restauro dell'antica sacrestia e dell'altro locale annesso che è ora una cappella con il Santissimo Sacramento. A San Domenico si entra da un piccolo portale sei-settecentesco in pietra: nel fastigio, entro una nicchia, vi è la statua del santo, attribuita allo scultore Orazio Marinali (1643-1720). Impossibile immaginare dall'ingresso, il colpo d'occhio scenografico di pittura illusionistica dell'interno e le splendide pale sugli altari.
La storia di questa chiesa deriva dalla spianata veneziana del 1517, che costrinse le monache di San Domenico, con monastero nel borgo di San Giorgio in Braida, rimaste senza casa, ad acquistare in Cittadella un ampio terreno per costruire un nuovo convento, dove si trasferirono nel 1543: dopo, fu costruita la chiesa, che venne consacrata l'11 novembre 1554 dal vescovo di Verona, Luigi Lippomano. Fra Sei-settecento l'edificio sacro, completamente rinnovato, venne abbellito con le opere d'arte che si possono ammirare oggi: gli altari dal lapicida e architetto Francesco Marchesini e l'affrescatura del soffitto e del fregio opera del figlio, Alessandro (1663-1738), in stretta collaborazione con il quadraturista Carlo Sferini, detto il Tedesco.
Più tardi, nel 1719, anche le pareti sotto la volta e sotto il fregio verranno dipinte dal quadraturista Antonio Zanoni, aiutato dai figli Andrea e Giovanni, con ornati architettonici. E' tutto questo scenografico apparato che lascia a bocca aperta. Gli affrescatori di San Domenico hanno dipinto un'architettura spaziale di tipo illusionistico: entro un sapiente impianto di logge, balaustre, cornici, scorci di colonnati e soprattutto giganteschi mensoloni rosati, che sembrano proiettati verso il cielo, c'è un tripudio di angeli e putti, con al centro Cristo sulle nubi, supplicato dalla Vergine con san Domenico e san Francesco.
Sempre sul soffitto, verso l'ingresso San Domenico con Pietro e Paolo e sopra l'altare maggiore La gloria di san Domenico. Nel fregio sottostante, le storie di santa Caterina da Siena, più chiare e trasparenti nel colore, che si incastrano tra i raffinati studi anatomici dei telamoni, le possenti figure maschili di origine classica che «fingono» di sorreggere l'impianto architettonico. Di Carlo Tedesco le vertiginose architetture finte, funzionali all'esaltazione barocca del santo, opera di Alessandro Marchesini.
Notevole anche il ciclo di pale sulle pareti e sugli altari, che offre il meglio dell'arte barocca veronese e che ha coinvolto alcuni fra i maggiori artisti cittadini del tempo. Fra queste segnaliamo quella di Ludovico Dorigny (1654-1742), che raffigura il Miracolo del pesce, un bel dipinto di gusto francese, dai colori quasi astratti, databile verso il 1720, come tutte le altre pale. Più moderna, nonostante l'intonazione tenebrosa ancora secentesca, la Predica di san Domenico alle donne eretiche di Sante Prunati (1656-1728), dove si alternano forme corpose e gesti oratori.
A queste due tele, fanno contrasto i colori vivaci di Simone Brentana (1657-1742) nel San Domenico che risuscita un fanciullo: la madre con il suo bimbo morto ai piedi è raffigurata davanti al santo che la invita alla Fede, rappresentata da una figura femminile coricata su una nube dentro un fascio di luce, con nelle mani la Croce e l'Eucarestia. Alle spalle del santo è un giovane con fiaccola, vaga citazione dal Miracolo di San Barnaba di Paolo Veronese. Da ammirare anche San Domenico che salva un edificio che crolla di Odoardo Perini (1671-1751), con un colore assai fresco, stesure morbide, scorci violenti e spezzati e San Domenico che flagellandosi caccia i demoni di Paolo Pannelli (1676-1759), con giochi di luminismo dai toni rossastri. Il soggetto è popolare, ma lo stile è avanzato.
Sugli altari, pale di Andrea Zanoni e Santa Cappanin, una suora pittrice di fine Ottocento. Chiesa e convento vennero soppressi dalle leggi napoleoniche. Nel 1811, un privato, Domenico Maboni, acquistò l'intero complesso; poi, fra il 1827 e il 1831, il convento venne venduto a Leopoldina Naudet, fondatrice delle Suore della Sacra Famiglia, dette Terese, che vi si stabilirono. Successivamente fu ceduto al Comune di Verona che, nel 1921, costruì l'Istituto Tecnico Industriale «Ferraris» e l'Istituto Civico Barbarani, mentre nelle strutture del vecchio convento trovò sede prima il comando dei Vigili del Fuoco e poi, ancora oggi, il Comando dei Vigili urbani. (Per informazioni, Sorelle della Sacra Famiglia, telefono n. 045 8005494). E.CERP.

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