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La relazione per l’apertura dell’anno giudiziario

Il procuratore Tito: «La ’ndrangheta è nel tessuto sociale. A Verona serve la procura antimafia»

Il procuratore: «Necessaria una svolta per dare strumenti adatti a contrastare il crimine organizzato. Tra le emergenze, i furti e lo spaccio»
La presenza di una procura speciale a Verona aumenterebbe le possibilità di intervento
La presenza di una procura speciale a Verona aumenterebbe le possibilità di intervento
La presenza di una procura speciale a Verona aumenterebbe le possibilità di intervento
La presenza di una procura speciale a Verona aumenterebbe le possibilità di intervento

«Quello che valeva 60 anni fa non può valere oggi», l’incipit con cui inizia la relazione del procuratore Raffaele Tito inviata alla Procura generale di Venezia per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Una relazione breve ma incisiva. Decisamente.

Procura distrettuale

Allarme sociale, dovuto alla delinquenza da strada e al fenomeno delle baby gang, codice rosso e criminalità organizzata le tre macro aree attorno alle quali il dottor Tito si concentra auspicando un «deciso cambio di prospettiva».

Quello che lo induce a rilevare la necessità della presenza di una procura distrettuale antimafia a Verona. Un’analisi della città che fin dalle premesse fa i conti con la realtà: «perché non ci si rende conto che Verona è la terza città per presenze turistiche (17 milioni l’anno)? Perché non si comprende che in Verona esiste il centro intermodale più grande d’Europa? Perché non si vuole constatare che qui esistono 85mila aziende attive? L’autorità centrale dovrebbe prendere decisioni adeguate e non ”fossilizzarsi” su logiche passate». Insomma serve un cambio di mentalità.

Criminalità organizzata

Considerazioni che il Procuratore, arrivato a fine giugno, trae da fatti concreti.

Primi tra tutti i processi per Isola Scaligera e Taurus. «Il fenomeno della presenza della criminalità organizzata di matrice ’ndranghetista nel Veronese non può essere sottaciuto, presenza stigmatizzata da due fondamentali sentenze emesse nel corso di quest’anno e un notevole numero di interdittive antimafia».

E citando l’esempio della Lombardia dove la Distrettuale è a Milano e a Brescia rileva che «il posizionamento nella sola Venezia finisce per non avere motivazione adeguata». Perché la criminalità organizzata non insiste sul capoluogo della Regione ma su altri ambiti provinciali. «Non si tratta, ovviamente di persone più o meno capaci ma della possibilità di utilizzare strumenti normativi che sono impediti ad una Procura ordinaria».

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Allarme sociale

I furti in abitazione restano altissimi (oltre un migliaio l’anno, tre al giorno) ma la delinquenza da strada e le bande minorili sono gli altri fenomeni percettibili che generano nei cittadini il senso di insicurezza.

«Delinquenza fatta di piccolo spaccio, ma sistematico, violenza gratuita anche per modeste motivazioni economiche, intimidazioni, resistenze e reazioni spropositate nei confronti delle forze dell’ordine». Preoccupazione in parte «accentuata dagli organi di informazione ma che rischia di incentivare comportamenti violenti (ad esempio girare in bicicletta sui marciapiedi scatena liti violente).

Le baby gang

Li definisce «gruppi di strada» o della delinquenza adolescenziale, fenomeno che si traduce in rapine, lesioni, sequestri di persona piuttosto che intimidazioni: «reati gravissimi e puniti con pene severe consumati sulla scorta di motivazioni che a noi sfuggono (un semplice sguardo torvo o un giubbino strappato)».

Ritiene che non abbiano capacità di comprendere che stanno minando il loro futuro: omertosi con l’Autorità con una connotazione di sfida totale verso gli adulti. Italiani di seconda o terza generazione: «i genitori hanno trovato una collocazione e sono protesi a mantenerla, loro sperimentano ogni giorno l’esclusione sociale».

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Fabiana Marcolini

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