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OPERAZIONE TAURUS

Pericolo ’ndrangheta, i tentacoli sul territorio: il pm chiede 500 anni

Il quadro tratteggiato dalla Procura distrettuale antimafia nel processo davanti al collegio, con 50 imputati
L'inchiesta condotta dalla procura distrettuale antimafia ha interessato cinquanta imputati
L'inchiesta condotta dalla procura distrettuale antimafia ha interessato cinquanta imputati
L'inchiesta condotta dalla procura distrettuale antimafia ha interessato cinquanta imputati
L'inchiesta condotta dalla procura distrettuale antimafia ha interessato cinquanta imputati

Oltre 500 anni di carcere. È questa la richiesta formulata dalla Procura distrettuale antimafia di Venezia per i 50 imputati dell’inchiesta Taurus, che hanno deciso di affrontare il processo davanti al collegio presieduto dal giudice Pasquale Laganà. Un altro maxi procedimento sulle infiltrazioni della ’ndrangheta nel territorio veronese, dopo quello che si è concluso a inizio marzo, Isola Scaligera, con condanne per 150 anni complessivi di reclusione. 

Per mesi i due processi sono andati avanti quasi in parallelo e ora, con la requisitoria della Procura, anche Taurus sta per volgere al termine. 

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Le richieste del pm

Le richieste più pesanti sono quelle per gli imputati ritenuti al vertice dell’«associazione a delinquere di stampo mafioso»: 24 anni per Carmine Gerace, detto «Carminello», considerato il «promotore, organizzatore e capo del sodalizio criminoso con compiti di decisione, della gestione dei rapporti e degli equilibri con altri gruppi criminali, oltre che di risoluzione di contrasti interni ed esterni al sodalizio e di mantenimento dei rapporti con esponenti di altre articolazioni della ‘ndrangheta in Calabria». La Procura ha poi chiesto trent’anni di carcere per Antonio Albanese, il «capobastone», con il ruolo di co-organizzatore dell’associazione, particolarmente vicino a Carmine Gerace, 28 anni di carcere per Giuseppe Versace, 24 anni per Francesco Versace (classe ’63), 24 anni per Diego Versace e 26 anni per Mario Gerace, questi ultimi con il compito di eseguire le direttive dei vertici, curando gli affari dell’associazione.

Associazione mafiosa tra Sommacampagna e Lazise

Al centro dell’inchiesta «un’associazione a delinquere di stampo mafioso», come ritiene l’accusa, che avrebbe operato tra Sommacampagna, Villafranca, Valeggio sul Mincio, Lazise, Isola della Scala e in altri paesi della provincia veronese: «Una struttura con autonomia operativa, composta da membri dei ceppi familiari Gerace, Albanese, Napoli e Versace, appartenente all’associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta, organizzata sulla base di regole formali e di livelli gerarchici e funzionali».

Come si legge sul capo d’imputazione, questa organizzazione si avvaleva «anche mediante la disponibilità di armi, della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che deriva dall’esistenza ed operatività dell’organizzazione criminale ‘ndrangheta».

Lo scopo era quello di «conseguire vantaggi patrimoniali dalle attività economiche che si svolgono sul territorio veronese in cui il sodalizio è insediato, mediante la commissione di estorsioni aggravate» a numerosi imprenditori locali, «conseguire vantaggi patrimoniali mediante la commissione di furti di ingenti quantitativi di rame e materiale ferroso, commettere i delitti di false fatturazioni per operazioni inesistenti, riciclaggio di proventi di attività delittuose e turbativa d’asta, agendo strumentalmente» attraverso una serie di imprese con sede nel Veronese.

Inoltre, obiettivo dell’associazione era quello di «acquisire direttamente o indirettamente la gestione o il controllo di attività economiche nei più svariati settori, esercitando il potere di intimidazione e ingerendosi con violenza, mostrando il proprio carisma criminale, nella risoluzione di controversie private, talora aggregandosi con soggetti contigui o affiliati a cosche diverse».

Tra i vari imputati, figurano anche alcuni esponenti della famiglia Giardino, residenti tra Sommacampagna, Sona e Villafranca. In particolare, la Procura ha chiesto quattordici anni e sei mesi di carcere per Antonio Giardino, nove anni per Alfredo Antonio Giardino, e sei anni e sei mesi di carcere per Alfonso Giardino e Francesco Giardino.

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