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L'intervista

Nadav, riservista israeliano: «Non posso stare qui mentre il mio popolo muore»

«La mia famiglia vive in Israele, sia a Gerusalemme che nelle zone vicine alla striscia di Gaza. Tanti miei amici sono già stati arruolati per la guerra, io spero di raggiungerli in fretta. Vado, non ho paura»
Soldati israeliani
Soldati israeliani
Soldati israeliani
Soldati israeliani

Nadav ha 27 anni e sta andando in guerra. È un riservista. «Voglio aiutare il mio popolo», dice, «non posso stare qua mentre laggiù si muore per difendere il Paese». Studia medicina a Bologna e frequenta regolarmente la sinagoga di Verona. «Aiuto il rabbino Tomer e sua moglie Zohar, mi do da fare per la comunità ebraica veronese, sono lì ad ogni evento e ad ogni momento di preghiera». 
Sta andando a prendere un aereo.

L'intervista al riservista che parte da Verona

«La mia famiglia vive in Israele», racconta, «sia a Gerusalemme che nelle zone vicine alla striscia di Gaza. Tanti miei amici sono già stati arruolati per la guerra, io spero di raggiungerli in fretta. Vado, non ho paura», sospira il futuro medico, «abbiamo un esercito forte e so che alla fine vinceremo. Sono consapevole del rischio, ma il mio Paese è minacciato e sono pronto a sacrificare la mia vita per il futuro di Israele e la pace del popolo ebraico. Sarò medico, ho scelto per professione di salvare vite umane, parto come soldato per fare la stessa cosa. E ne sono felice».

Nadav racconta di essere scioccato dalla delle immagini che arrivano «da casa», dei crimini contro civili innocenti, bambini e anziani, donne e neonati. «Cose che non si vedevano dai tempi dell’Olocausto», gli si rompe la voce, «sento l’obbligo morale di andare a lottare per la giustizia, per la pace, per i diritti umani. Oggi è Israele e domani può succedere ovunque. Il terrorismo deve essere fermato altrimenti non ci sarà mai pace». E conclude: «Vogliono annientare gli ebrei e allontanarli dalla Terra Promessa. Ripeto, sono gli stessi obiettivi che avevano i nazisti. E chiedo a tutti di guardarsi dalle fake news che circolano in rete. Israele vuole la pace, in Israele convivono persone di tutte le religioni e razze».

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La riservista

Come Nadav, da tutta Italia tanti altri giovani israeliani stanno partendo per andare in guerra. Noa Rakel Perugia è bellissima. Ha 22 anni, lunghi capelli neri, denti bianchissimi. Dall’alba di ieri è all'aeroporto di Fiumicino, con più di altri 300 ragazzi italo-israeliani riservisti, richiamati dal presidente Bibi Netanyahu.

«È mio dovere partire», dice con voce ferma, «qualunque sia il prezzo da pagare». È una soldatessa, fino a pochi mesi fa alloggiava in una base militare in Israele, dove a giugno ha finito il servizio di leva, «devo tornare immediatamente al fronte». Mentre Israele dichiara lo stato di guerra e i tank accerchiano Gaza, Noa racconta i suoi sogni interrotti. «Ho fatto il liceo scientifico a Roma. Alle 5 del mattino di shabbat ha chiamato mia zia da Gerusalemme per dirci della guerra. Ha tre figli ed il maschio è un ufficiale della fanteria, subito richiamato. E’ cominciata per ore una ricerca straziante di parenti, amici: Israele è molto piccola, ognuno di noi sta cercando morti, rapiti o dispersi».

La questione degli ostaggi angoscia Noa. «Ma Netanyahu ha già scelto un generale per monitorare la situazione dei sequestrati. Ora come ora per lui la priorità è stanare i terroristi, l'obiettivo militare principale è andarli a cercare e catturare perché non possano uccidere o rapire ancora. Per questo sono stati richiamati 300mila riservisti, il numero più alto dal 1948». Noa conclude, prima di imbarcarsi: «Tutto il mondo ebraico è paralizzato e terrorizzato, ci sono intere famiglie ammazzate al confine di Gaza, il mio pensiero è con loro, faccio tutto quello che posso, è mio dovere andare».

Camilla Ferro

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