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L'aquilone-farfalla di Nida vola da Gaza a Verona

MOSTRE/ 2. PERFORMANCE DEL PALESTINESE SINNOKROT CON UNA COPIA DELL’INSTALLAZIONE OSPITATA AD ARTERICAMBI


L’allestimento della galleria scaligera presenta variegate opere di artisti emergenti della cultura araba
L’allestimento «Esotico contemporaneo» alla Città
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L’allestimento «Esotico contemporaneo» alla Città

Un aquilone vola sulla città. Ma non è un aquilone qualsiasi. La Palestina vola su Verona. Nella leggerezza che porta con sé quell'aquilone di seta beige, c'è una poesia silenziosa ma anche una storia secolare fatta di sangue e di dolore. È opera di Nida Sinnokrot, artista palestinese che presenta alcune opere nella collettiva in corso da Artericambi, una mostra - curata da Gaia Serena Simionati - bella e profonda, che va vista perché parla una lingua più che mai contemporanea.
Quell'aquilone-farfalla è una copia dell'installazione in mostra, che ripercorre geograficamente la striscia di Gaza e il West Bank. Nella stanza accanto, Sinnokrot ha realizzato una lunga fila di pietre su cui è intervenuto con una gomma colorata di nero o di giallo. Sembrano degli esseri umani in coda: evocano le lunghe ore d'attesa dei palestinesi ai posti di blocco verso Israele, ma anche le pallottole assurdamente chiamate less than letal «poco meno che letali».
Scorrono pochi metri più in là, le immagini di Nawras Shaloub, anche lui palestinese. Presenta sei video, strettamente legati al tema della mostra, al Tawassol Contatto, sia col dolore sia fisico che morale. C'è l'angoscia della vita in una cella fatta di solitudine, di lontananza, di «non contatto»; c'è la sopportazione del dolore vissuto come tortura; c'è una riflessione pungente sulla libertà. C'è anche una storia vera, racconta di quattro palestinesi imprigionati; solo uno riesce a non cedere alla follia grazie a un buco nel muro della cella attraverso il quale riesce a scorgere la luna. Non si sente solo pensando che qualcun altro come lui in quel momento guarda la luna. Vicino ai suoi video, ce n'è un altro dell'iracheno Adel Abidin. Per vederlo bisogna entrare in uno spazio nero e angusto. In Foam un bambino fa la barba a un palloncino nero, quando scoppia rimane una vecchia poltrona da barbiere completamente rossa: inevitabile il rimando al sangue, ma anche alle barbe dei fondamentalisti. L'ultimo video è dell'egiziano Wael Shawky. Al Aqsa Park è l'installazione di un film dove the Dome of the rock l'importante complesso di El Aqsa a Gerusalemme, la terza moschea del mondo islamico, diventa la giostra di un luna park. Ipnotizza, fa riflettere sul ruolo spirituale e politico del sistema religioso. È diversamente forte, come lo sono le fotografie di Halim Al Karim, artista iracheno che ha vissuto tre anni protetto dai beduini in una buca nel deserto, coperto da un cumulo di argilla su cui aveva effettuato dei fori da cui vedeva il cielo. Nel trittico esposto, Untitled, i volti dei bambini biondi, belli, simili ad ariani, sono inquietanti per gli occhi glaciali e la bocca incerottata. Una velatura ricopre i loro volti. Poco più in là da un cipresso a testa in giù completamente nero sembra cadere una meteorite: è una mela nera, posata al centro delle orbite cosmiche. Ma a terra c'è anche una stella a cinque punte. L'installazione dal titolo significativo, Sospensione, attesa, inerzia, è di un iraniano giovanissimo, vitale, Navid Azimi Sajadi, autore di una poesia esoterica. Si respira la magia persiana, la sacralità di culti legati al pentacolo, un mondo di rimandi che possiamo cogliere nel curato catalogo che accompagna la mostra.
Poi ci sono i lavori a parete: gli arazzi dell'egiziano Moataz Nasr che ricordano «la propaganda del nulla». La tradizione tribale del ricamo su tessuto viene usata per raccontare la propaganda americana prima dell'invasione dell'Iraq. Un lavoro penetrante in cui l'ombra di una passata grandezza si coniuga a un contemporaneo fatto di soprusi.
Il crogiuolo multietnico della Turchia si ritrova invece negli arazzi di Ramazan Bayrakoglu, i cui paesaggi affascinanti, ci donano spazi vuoti, immobili, grazie a una tecnica particolare che fa scaturire dalla lavorazione delle sete giochi e illusioni ottiche.
Da questa mostra si esce arricchiti. Alcune opere rimarranno con noi per sempre, come succede nell'arte, alcune parole ci faranno riflettere, come quelle di Nida Sinnokrot: «Da sempre l'Oriente è lo schermo su cui l'Occidente proietta i suoi desideri, le sue paure».

Maria Teresa Ferrari

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