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Il caso

Il Cai di Verona e la polemica sulle croci: «Tutelare quelle che ci sono. Ma non ne servono di nuove»

Cima Telegrafo  Una delle più famose croci del Baldo in uno scatto di Antolini
Cima Telegrafo Una delle più famose croci del Baldo in uno scatto di Antolini
Cima Telegrafo  Una delle più famose croci del Baldo in uno scatto di Antolini
Cima Telegrafo Una delle più famose croci del Baldo in uno scatto di Antolini

Dopo la lunga salita, la croce di vetta appare come il nastro del traguardo. Di più: «Un amico, un essere umano», scrisse Walter Bonatti, dopo la sua eroica ascesa solitaria sulla parete nord del Cervino, nel 1965, «l’abbracciai come se avesse un’anima».

La polemica (rientrata)

E proprio le croci, che segnano il punto più alto delle montagne, sono finite negli ultimi giorni al centro di una polemica nazionale, scoppiata dopo le affermazioni del Cai a un convegno alla Cattolica di Milano.

In quella sede, il giornalista Marco Albino Ferrari, responsabile delle attività culturali del Club, aveva confermato la posizione già espressa su «Lo Scarpone» (il portale informativo del Cai) dall’antropologo Pietro Lacasella: «Croci di vetta: sbagliato rimuoverle, anacronistico istallarne di nuove».

In sintesi: «Se da un lato sarebbero inappropriate le rimozioni, perché porterebbero alla cancellazione di una traccia del nostro percorso culturale, dall’altro si rivela anacronistico l’innalzamento di nuove croci e, più in generale, di ingombranti simboli sulle cime alpine». Il bailamme che ne è seguito, scatenando reprimende ministeriali, è noto.

Antonio Guerreschi
Antonio Guerreschi

 

La posizione del Cai veronese

Ma qual è la posizione del Cai veronese? Sospira, Antonio Guerreschi, archeologo, ex docente universitario, e dal 2018 presidente della sezione di Verona: «Una polemica inutile», sbotta, «inventata da chi, probabilmente, non ha nemmeno ascoltato la posizione del Cai nazionale, che è anche la nostra. Ovvero», rimarca, «le croci già esistenti sono da mantenere. E da manutenere. Falso dichiarare che le vorremmo togliere. Invece, non riteniamo necessario procedere a nuove installazioni».

Perché, come ha scritto Lacasella, «sarebbe forse più appropriato intendere le vette come un territorio neutro, capace di avvicinare culture magari distanti, ma dotate di uguale dignità».

Quante sono le croci nel Veronese?

Quante sono le croci sulle vette veronesi? Ne aveva fatto un censimento, tempo addietro, il nostro Ctg (Centro turistico giovanile). Il rappresentante dell’area baldense, Maurizio Delibori, spiega che, oggi, «le croci di vetta sono tra le venti e le trenta. Perlopiù installate nell’ultimo secolo, ma ce ne sono anche di molto recenti».

«Fra le più conosciute», elenca, «citiamo quelle su cima Valdritta e cima Telegrafo; e sempre nella catena del Monte Baldo, ma a quota più bassa, ne incontriamo altre sul Monte Creta, sopra Caprino, e sul Belpo a San Zeno di Montagna.

In Lessinia, sono piantate sul Corno d’Aquilio e sullo Sparavieri, e sulle cime Trappola, Mezzogiorno, Lobbia... Ne abbiamo poi sul Carega, sulla vetta omonima, mente a cima Madonnina c’è una statua della Vergine».

Il conteggio è spannometrico, appunto perché nuove iniziative sorgono frequentemente.

Lo ha dimostrato il caso eclatante della «croce astile di papa Woytjla»: la più alta del mondo (18 metri) issata meno di un mese fa a Spiazzi, nei pressi della Madonna della Corona, dopo le forti reazioni ambientaliste scatenate dalla prima ipotesi di collocazione, in cima al Baldo, all’approdo della funivia di Malcesine.

Il presidente del Cai Verona, Guerreschi, riprende: «Contro il posizionamento in cima al Baldo, troppo impattante, ci siamo espressi anche noi. Abbiamo taciuto, invece, quando per fortuna si è scelto Spiazzi. Ribadiamo che la nostra non è, come qualcuno l’ha definita, una crociata al contrario. Non parliamo di religione, ma di ambiente». «Negli ultimi vent’anni», precisa Guerreschi, «sulle nostre montagne c’è stato un proliferare di installazioni su iniziativa di Comuni, parrocchie, gruppi, privati. Croci, ma anche targhe commemorative, lapidi funerarie, manufatti vari che, tra l’altro, ad alta quota sono destinati a conservarsi poco».

«E come siamo contrari a questi», conclude, «lo siamo pure verso le nuove ferrate e i ponti tibetani: "giochi" che non hanno alcuna utilità, se non dare facile divertimento ai visitatori. Noi del Cai pensiamo che la montagna non ne abbia bisogno. E nemmeno chi la frequenta e la ama».•.

Lorenza Costantino

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