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Rabbia e delusione

Citrobacter, nessun responsabile per la morte di Nina. La madre: «Giustizia solo per due, e gli altri?»

Francesca: «Mi auguro ci pensino le coscienze di chi ha mistificato la verità condannando di fatto a morte 4 bimbi e rovinandone per sempre molti di più. Per me sono, restano, tutti colpevoli».
Borgo Trento, Francesca Frezza con la foto della figlia Nina
Borgo Trento, Francesca Frezza con la foto della figlia Nina
Borgo Trento, Francesca Frezza con la foto della figlia Nina
Borgo Trento, Francesca Frezza con la foto della figlia Nina

«A cosa è servita la morte di Nina? Del suo sacrificio, che ho voluto rendere pubblico perché non succedesse più a nessun altro bimbo di morire in quel modo, ora che per la Procura non ci sono responsabili, cosa rimarrà? Della mia creatura, della sua sofferenza, di quei pochi mesi di vita in cui ha lottato come un leone e in cui io, per renderle giustizia, ho denunciato tutto quello che accadeva dentro alla terapia intensiva neonatale di Borgo Trento, cosa ne ha fatto la Procura?».

La delusione e la rabbia

Mamma Francesca è «amareggiata», «delusa», temeva che «sarebbe purtroppo andata così» dal momento in cui in dicembre ha letto la relazione dei periti della pubblica accusa, «tanto che subito ho presentato al pm le mie controdeduzioni (Francesca è una biologa, ndr), smontando la costruzione dei 4 esperti del pool, tra l’altro in contraddizione con quanto scritto precedentemente dagli ispettori del Ministero della Salute e con quella della Regione». 

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«Sì, sono delusa, e piena anche di rabbia», si sfoga, «ma continuo ad avere fiducia nella magistratura perché almeno per la morte di Alice e le lesioni di Benedetta qualcuno dei medici e dei dirigenti risponderà». Se infatti tutto è finito con l’apertura di un fascicolo e un imminente processo per omicidio colposo e lesioni gravi e gravissime, è solo per merito suo.

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Ed è per questo che Francesca non si dà pace: «Per tutti i bimbi uccisi dal Citrobacter e per tutti gli altri che hanno avuto l’esistenza rovinata da gravi handicap, come si fa a sostenere che si poteva evitare la tragedia solo per due? E gli altri? Ho solo una magra consolazione», ammette, «per mia figlia e gli altri bimbi che non avranno giustizia in quell’aula di tribunale: mi auguro ci pensino le coscienze di chi sa, di chi c’era in quel reparto, di chi ha mistificato la verità, di chi ha cercato di nasconderla e di negarla, di chi poteva e non ha fatto, di chi ha pensato solo alla propria convenienza condannando di fatto a morte 4 bimbi e rovinandone per sempre molti di più. Per me sono, restano, tutti colpevoli».

La super-perizia

Della super-perizia su cui la Procura ha basato la chiusura delle indagini preliminari, la mamma di Nina non accetta «il metodo di indagine che, in modo arbitrario, ha ridotto quei 19 mesi di morte e di sofferenze ad una semplice sequenza temporale di 3 fasi in cui solo per l’ultima, quella da aprile a giugno 2020, si sarebbe potuto fare qualcosa. E nei 16 mesi precedenti? Perché non è scattato l’allarme al primo caso di infezione?», si chiede Francesca, «perché nessuno ha il coraggio di dire che quando il Citrobacter entra in una neonatologia intensiva è un evento gravissimo, è come sparare a freddo sulle culle, condannando a morte i bambini ricoverati? Perché a Borgo Trento, invece, hanno tenuto tutto sotto traccia arrivando a prendere misure in ritardo quando ormai la cosa non poteva più essere gestita anche perché io l’avevo denunciata sui giornali, tanto da dover chiudere la maternità?». 

Morti e malati di serie A e serie B?

Il ragionamento di Francesca va oltre: «Nina, Elizabeth e Leonardo uccisi dal batterio killer, insieme ai piccoli sopravvissuti ma rimasti disabili hanno avuto “solo“ la sfortuna - come dice la superperizia - di ammalarsi nella fase “precoce“ e in quella “intermedia“ della diffusione dell’infezione, non in quella “tardiva“ ed è per questo che come parti offese sono stati stralciati dall’inchiesta, perché in quei 16 mesi l’ospedale ha fatto tutto quello che è previsto dai protocolli in caso di focolai batterici. Falso, io là c’ero e ho le prove. Falso, lo dicono anche i consulenti regionali e quelli del ministero».

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«È come sostenere», conclude, «che ci sono stati morti e malati di serie A e B. Eppure erano tutti uguali, di fronte al tragico destino che li aspettava, erano tutti vicini di culla e si sono stati tutti infettati dallo stesso batterio che aveva nidificato nei rubinetti; sono morti, tutti e 4, perché in reparto non sono state messe in atto le misure obbligatorie per contenere il focolaio, dal primo caso all’ultimo, e non solo nell’ultimo trimestre identificato dal pool del pm. Alice e Benedetta avranno giustizia, almeno loro per fortuna, e tutti gli altri?».

Camilla Ferro

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