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entro venerdì attese le repliche alla perizia

Citrobacter: «Con il monitoraggio alcuni bimbi non sarebbero stati contagiati». È l’ora delle difese

di Camilla Ferro
I legali dei sette indagati possono presentare le controdeduzioni alle 400 pagine degli esperti della Procura. Ma non tutti lo faranno
Alice, una delle bimbe colpite dal Citrobacter a Borgo Trento
Alice, una delle bimbe colpite dal Citrobacter a Borgo Trento
Alice, una delle bimbe colpite dal Citrobacter a Borgo Trento
Alice, una delle bimbe colpite dal Citrobacter a Borgo Trento

Scade venerdì il termine per le osservazioni delle difese alla consulenza della Procura sulle morti e sui contagi causati dal Citrobacter nella terapia intensiva neonatale dell’Ospedale della Donna e del Bambino tra il novembre del 2018 e il maggio del 2020. I sette indagati dal pm Maria Diletta Schiaffino - medici e dirigenti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata in servizio nei 19 mesi in cui il batterio causò il decesso di 4 neonati e ne infettò un altro centinaio lasciandone alcuni disabili - sono sotto inchiesta, con ruoli e responsabilità differenti, per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose gravissime.

La perizia

Dopo un anno di lavoro, i quattro super consulenti della Procura in dicembre hanno consegnato alla titolare dell’indagine le 400 pagine in cui concludono che «nella fase tardiva» dell’epidemia - precisamente dall’ultima settimana di febbraio a maggio 2020 - se alcune procedure di contenimento e di monitoraggio della diffusione del batterio fossero state mantenute invece che venire sospese a causa del Covid, la morte di Alice e le lesioni irreversibili di Benedetta, così come la colonizzazione di Maria e Davide, si sarebbero potute evitare.

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L'accusa

E’ mancata, usando il termine tecnico, la «sorveglianza» dovuta ad una infezione che già nel 2018 e nel 2019 aveva fatto scattare l’allarme nel reparto di neonatologia, attivando screening, tamponi, procedure di controllo, isolamenti, riunioni del Cio (Comiato infezioni ospedaliere), del Gio (Gruppo infezioni ospedaliere) e della Commissione multidisciplinare: erano i mesi in cui il mondo è stato travolto dal Covid, con gli ospedali trasformati in un unico grande reparto per curare le centinaia di malati che ogni giorno finivano in rianimazione per la micidiale polmonite da Sars Cov 2.

I laboratori di analisi erano subissati da tamponi da processare, non riuscendo più a far fronte al resto dell’attività «ordinaria» dell’ospedale. Il servizio sanitario, intra ed extra ospedaliero, era tutto dirottato sulla pandemia Covid, interrompendo quello che poteva essere «rimandato», non urgente. Peccato che i quattro piccoli infettati dal batterio e poi morti (Elizabeth, Leonardo, Nina e Alice) nella Tin c’erano lo stesso, nonostante il Covid, così come tutti gli altri che hanno avuto la «sfortuna» di nascere nel momento sbagliato: non si può farne una faccenda di «fase tardiva» o «precoce» o «intermedia»; morire a pochi mesi di vita perché un batterio non è più stato tenuto sotto occhio da chi doveva farlo, perché impegnato a star dietro ad un altro virus, non può essere la risposta.

Il momento delle difese

Gli avvocati dei 7 indagati hanno tempo fino a venerdì per portare al pubblico ministero Schiaffino le loro controdeduzioni alla consulenza dei colleghi Ernesto D’Aloja (medico legale dell’Università di Cagliari), Daniele Farina (neonatologo del Sant’Anna di Torino), Ferdinando Coghe (esperto di analisi chimiche e microbiologia di Cagliari), Clemente Ponzetti (direttore sanitario del Policlinico di Monza).

Alcuni dei legali hanno deciso di «stare fermi», di non scrivere alcuna contro-memoria «perché è troppo presto» o perché «è un atto di gentilezza del pm averci fatto avere copia di queste 400 pagine, è lavoro dei suoi consulenti, poteva depositarle senza dirci nulla: noi le prove le porteremo al dibattimento, non in questa fase, non serve». E ancora: «Non sappiamo ancora come procedere, in questi giorni stiamo valutando con i nostri consulenti il da farsi, c’è tempo fino a venerdì per decidere». E infine: «Il testo è già scritto, le risposte agli addebiti dei tecnici della Procura sono messe nero su bianco, è chiaro che in questa tragedia ci sono ruoli diversi ed evidenziarlo è fondamentale per mettere in luce le diverse responsabilità».

Ci sono poi le parti offese - cioè i genitori dei neonati morti e di quelli sopravvissuti con grave disabilità - che altrettanto possono entro venerdì «rispondere» alle 400 pagine dei super periti della Procura. E non solo quelli dell’ultimo periodo della diffusione del Citrobacter che, come hanno scritto i consulenti dell’accusa, potevano essere salvati (Alice e Benedetta in primis), ma anche quelli che il Citrobacter l’hanno contratto prima della concomitanza del Covid, nelle cosiddette «fasi precoci» ed «intermedie», come Nina e Leonardo. 

In previsione del processo, in attesa delle decisioni del pm Schiaffino che, alla luce della relazione del pool dei suoi esperti e delle contro-deduzioni delle difese potrebbe archiviare qualche nome dal fascicolo degli indagati, resta la grande tragedia di quattro famiglie rimaste senza figli e di diverse altre che se li ritrovano disabili, che non possono accettare di essere incasellate tra quelle che potevano salvarsi o no dal Citrobacter, se solo in ospedale fossero state mantenute le misure ad hoc previste.

Perché, lo scrivono gli stessi consulenti della super perizia, si tratta di «decessi e colonizzazioni dovute a infezioni nosocomiali».

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