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Il ricordo

Farina: «Il Milan a Berlusconi? Fu grazie all'intervento di Craxi»

Il ricordo del figlio di Giussy Farina, che cedette il Milan a Berlusconi
Giussy Farina e Silvio Berlusconi
Giussy Farina e Silvio Berlusconi
Giussy Farina e Silvio Berlusconi
Giussy Farina e Silvio Berlusconi

Giussy Farina disse di no. Quindici miliardi per avere il Milan, l’offerta di Silvio Berlusconi. Troppo pochi. Primi Anni Ottanta, il calcio stava diventando sempre più un business. Anche grazie a Farina, assoluto precursore della materia. Quella volta però in ballo c’era qualcosa di grande.

 

Farina e Berlusconi

«Ne chiese venti mio papà. D’altronde aveva in mano un assegno in bianco di Paolo Mantovani che voleva a tutti i costi Franco Baresi alla Sampdoria. C’erano giovani bravissimi come Costacurta, Tassotti e Filippo Galli che sarebbero diventati grandi giocatori. Quel Milan aveva un certo valore», una delle tante istantanee di Francesco Farina, 66 anni, oggi sindaco di Palù, ad unire uno ad uno i vari tasselli di quel complicatissimo mosaico e a ricostruire quel braccio di ferro in cui nessuno era disposto a cedere. Tutti e due fermi sulle rispettive posizioni. Anche Giussy, davanti al quale ogni calciatore sapeva già in partenza di dover accettare le sue condizioni. Non ci metteva molto lui. Pratico e risoluto. Senza mai piegarsi. Ma c’è sempre una prima volta.
Anche Berlusconi disse di no, dopo una prima serie di incontri fra i professionisti delle due parti. Senza mai un vero faccia a faccia. Quando la storia era appena all’inizio. Quando Giussy Farina, 90 anni il prossimo 25 luglio, credeva di poter prendere un’altra direzione. Come aveva fatto più volte, abituato ad imporsi praticamente sempre. A costo di cambiar direzione. Di scrutare altri scenari.

 

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Craxi bloccò tutto

«Il Milan papà l’aveva di fatto venduto al petroliere Giampiero Armani. Ma la sera prima di andare dal notaio ad Armani, già socio del Milan, arrivò una telefonata di Bettino Craxi. “Questa cosa non è per te”, gli disse. E il giorno dopo dal notaio non si presentò nessuno», il fermo immagine di Farina, punto di non ritorno e l’inizio della fine di quel Milan che poi Berlusconi avrebbe trasformato in una delle società più vincenti di sempre. In Italia, in Europa, nel mondo. «Pochissimo tempo dopo la Finanza entrò nella sede del Milan, rilevando soprattutto il mancato pagamento ad esempio dell’Irpef così com’era però per tanti altri club. Niente di clamoroso. Fatto sta», l’amarezza di Farina, «che la società finì in prefallimento, acquisita poi da Berlusconi direttamente dal tribunale coprendo successivamente tutti i debiti. Soprattutto quelli nei confronti dello Stato. E pagandola naturalmente molto meno di quanto non valesse in effetti».

 

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Farina e il Milan

Farina il Milan l’aveva preso due anni prima per cinque miliardi, imprenditore del calcio prima acquistando il Padova e diventando poi presidente del Vicenza. «A tutela del Milan», l’ultimo tassello di Farina, «mio padre mise le sue aziende come garanzia. A distanza di anni i vari liquidatori delle società collegate chiusero tutte in attivo. Lui invece perse tutto».

Un amore nato quasi per caso il Milan. Un rimbalzo come tanti, nel bel mezzo del calciomercato dove Farina si muoveva alla perfezione. Il suo pane. «Ero io presidente del Lanerossi Vicenza, quando papà mi raggiunse a Milano per depositare le buste di comproprietà piuttosto importanti. Quelle di Luciano Marangon, di Nicola Zanone, soprattutto quella di Paolo Rossi. Eravamo a pranzo al Principe di Savoia quando entrò Felice Colombo, allora presidente del Milan. Non ne poteva più lui. Era stufo», ricorda Farina, «disse chiaro e tondo che per tre miliardi avrebbe venduto la società. Papà raccolse la palla al balzo, com’era solito fare in quei casi. Scrivendo al momento, con tanto di testimoni, un contratto scritto che poi fece recapitare a Colombo tramite raccomandata. Aveva fatto valere quel che aveva sentito. Niente di più. Colombo accettò. Chiusero più o meno per quella cifra». Poco più di tre miliardi, quindici per Giussy quando bussò il Cavaliere. Troppi. «Nessuno dei due cedette, ma il punto è un altro. Perché un agricoltore di Palù», i titoli di coda di Farina, «non avrebbe mai potuto mettersi contro un gigante come Berlusconi».

 

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Alessandro De Pietro

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