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Bici e Monti

Il Translagorai, l'altavia di un altro pianeta

Dalla Panarotta fino al Rolle, passando per il Manghen, il bivacco Paolo e Nicola lungo il Translagorai. Più un bonus fino all'Agordino
Il Translagorai nella zona del lago delle Buse
Il Translagorai nella zona del lago delle Buse
Il Translagorai

Spettacolare, impegnativo, sorprendente. Settanta chilometri camminando sul filo di un panorama commovente, con un saliscendi continuo in cresta, fra prati, pietraie, laghetti e bivacchi. 

È il Translagorai: un'altavia che unisce la Valsugana alle Pale di San Martino con difficoltà non trascurabili e scenari unici. Questa non vuole essere una guida (se ne volete una fatta bene, questo è un esempio) ma il racconto di una delle tante possibili esperienze su questo strabiliante passaggio in quota che, per altro, per chi scrive è arrivato come seconda parte di un lungo cammino cominciato ai piedi della Lessinia, circa centro chilometri più a Sud.

Il Translagorai lo si può percorrere in quattro o cinque giorni. Noi (perché dopo un inizio in solitaria è divenuto un viaggio a due) abbiamo scelto la prima opzione, con qualche deviazione eterodossa.

 

Giorno 1: dalla Panarotta al rifugio Sette Selle

Si parte (traccia) dal parcheggio della Panarotta, a circa 2.000 metri d'altezza, raggiungibile da Levico a piedi in tre/quattro ore o... con una comoda navetta in mezz'ora (ma potete usare anche la vostra auto). Lì d'inverno si scia. Da maggio a settembre inoltrato, invece, da lì si parte (o si arriva) per percorrere il Translagorai.

Superata la strada forestale del valico La Bassa, si comincia a risalire il monte Fravort, prima asperità del percorso: si sale fino a quasi 2.400 su un pendio erboso dalla pendenza notevole. In cima si incontra il bel bivacco Fravort (aperto dal 2021) e i resti di un baraccamento della  Prima Guerra Mondiale. Dal Fravort la vista è spettacolare, leit motiv del Translagorai, a 360 gradi con Brenta, Pale di San Martino, Vezzena e Cima d'Asta.

Si risale al monte Gronlait (c'è anche un sentiero che rimane un po' più basso senza risalirlo), si attraversa il passo della Portela e si arriva al passo del Lago, ammirando i prati, i laghi e i pascoli che ci accompagnano poco sopra il crinale.

Dal passo del Lago ci sono due opzioni.

La più breve è scendere lungo l'E5, costeggiare il particolarissimo lago di Erdemolo (che ha la forma di un cuore!) e proseguire lasciandosi a destra il monte Hoamonder, arrivando quindi al Sette Selle dal basso.  

Quella un po' più lunga, ma più classica e che rispetta il percorso del Translagorai, conduce sul Monte del Lago, poi a cima Cavè e a cima delle Lepri, lasciandosi dunque il monte Hoamonder a sinistra e quindi arrivando al Sette Selle dall'alto.

Il rifugio Sette Selle (siamo nel comune di Palù del Ferina, nella alta val dei Mocheni) è un piccolo gioiello, con provvidenziale fontanella esterno e attentissimo servizio all'interno. Le camerate sono spettacolari, specie quella del sottotetto, e il soggiorno, dopo circa sette ore di cammino, non potrà che ristorarvi.

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Fravort e Gronlait, la porta del Lagorai

 

Giorno 2: dal rifugio Sette Selle al lago delle Stellune

(traccia) Partenza prima dell'alba dal rifugio Sette Selle: si sale subito su cima Palù, dove lo spettacolo del sole che sorge sulla dorsale erbosa lascia senza fiato (e non è il caso, vista tutta la strada che resta da percorrere!). Si prosegue senza mai salire o abbassarsi troppo di quota in quella che si rivelerà essere la zona più verde di tutto il Lagorai, fra passo Cagnon, passo Cadin e forcella Bolenga. Dopo un brevissimo tratto attrezzato ecco che si arriva al bivacco Mangheneti (o al Mangheneto) spazioso anche se un po' datato, gestito dagli alpini di Telve. Di lì in circa mezz'ora si arriva al passo Manghen (per guadagnare tempo vi consiglio di seguire per il rifugio Manghen e non per il passo), dove il viaggio da solitario diventa in tandem, grazie all'arrivo di Bruno, carico di provviste e di una provvidenziale tenda.

Ripartiamo dopo un pranzo ristoratore al rifugio e la strada ricomincia a salire, seppur dolcemente. Questo è un tratto davvero spettacolare: oltrepassando svariati torrentelli, si costeggia il lago delle Buse e, dopo circa quattro ore dal passo Manghen, si arriva a quello delle Stellune, scenario clamoroso che scegliamo, come altri, per trascorrere la nostra notte. Che, dopo esserci addormentati con un tramonto quasi esagerato, ci regala invece otto ore di temporale violentissimo e ininterrotto, che mette a dura prova la tenda e l'equipaggiamento dei viandanti. Nonostante questo, il mattino dopo si riparte, con la fiducia e il buon umore solo parzialmente intrisi di umidità.

 

Giorno 3: dal lago delle Stellune al bivacco Paolo e Nicola

Forcella Lagorai, cima Letigosa, passo Sadole e la sua stazione di guerra, forcella Coldosè, bivacco Paolo e Nicola. È il percorso ortodosso per il terzo giorno (traccia) di Translagorai che ci eravamo prefissati: 11 ore circa parecchio impegnative.

Ma la notte quasi insonne e l'incertezza sulle forze a disposizione, ci hanno fatto alla fine optare per un'altra via, che comunque ci ha fatto mettere 27 chilometri e 2.500 metri di dislivello (1.300 positivi) nelle gambe. A Forcella Valsorda abbiamo abbandonato la "retta via", costeggiando i laghi delle Buse Basse e i laghi di Rocco, scendendo da passo Val Cion fino a incrociare il Sentiero della Pace e perdere bruscamente quota fino a Socede di Sotto, da cui abbiamo proseguito a passo spedito fino al rifugio Refavaie, incrociando (orrore!) la strada asfaltata che sale da Caoria. Provvidenziale: lì abbiamo ricaricato le energie e siamo risaliti in quota, per lo più su una strada forestale, che ci ha portato fino a Forcella Valmaggiore e al meraviglioso bivacco Paolo e Nicola

Costruito in memoria di due ragazzi di Predazzo morti in montagna nel 1974 è stato ristrutturato di recente e ha una dozzina di materassi e anche una cucina. La compagnia per noi è stata ottima (un saluto agli amici vicentini che ci hanno offerto del Raboso, per il quale gli abbiamo perdonato le prolungate strimpellate davanti al fuoco), così come il sonno in vista dell'ultima tappa.

 

Giorno 4: dal bivacco Paolo e Nicola al passo Rolle

Si parte (traccia) all'alba verso la forcella di Cece e il paesaggio è, aggettivo abusato ma qui d'obbligo, lunare. Il percorso si fa impegnativo, con discese e risalite continue su terreni ghiaiosi e pietraie. Si apre spettacolare il panorama su val di Fiemme e val Venegia. Il Translagorai classico prosegue verso forcella del Valon e bivacco Aldo Moro, ma noi facciamo un'altra deviazione, che si rivelerà decisamente azzeccata.

Dopo essere scesi per qualche centinaio di metri lungo il ghiaioso sentiero di Cece e di Miesnotta, prendiamo sulla sinistra il sorprendente sentiero Buse Malacarne. Un per nulla affollato sentiero in leggero falsopiano costellato di omini di pietra e piccoli laghetti che ci accompagna per alcune ore fino alla forcella Punta Ces, da cui ci si ricollega al Transolagorai. Si è ormai in vista dei laghetti di Colbricon, luogo clamoroso (ma spesso troppo affollato), da cui per un facile sentiero si arriva finalmente, in meno di un'oretta, all'agognato passo Rolle.

Ce l'abbiamo fatta: il  Transolagorai ora è tutto nei nostri zaini, nei nostri occhi e soprattutto nelle nostre gambe felicemente spossate. Il nostro non è stato per intero il percorso consigliato, o consigliabile, ma è stato qualcosa di spettacolare e unico. E il racconto racconta solo in minima parte quello che ci ha dato.

A me, per altro, ha dato anche la forza di un ultimissimo (lunghissimo) passo...

 

Giorno bonus: dal passo Rolle al parco delle Dolomiti Bellunesi

 

Dopo una cena e una notte ristoratrici al passo Rolle, per lo scrivente infatti c'era da affrontare un ultimo tratto del percorso intrapreso sette giorni prima

Una bella sfacchinata a dirla tutta, per la quale era stato pietosamente alleggerito lo zaino da un buon samaritano di passaggio al Rolle. E allora quindi: molto prima dell'alba ci si incammina per la strada asfaltata fino a malga Fosse di Sotto, dalla quale si prende il sentiero dei Finanzieri.

Mentre cominciano sopra la testa del viandante le prime risalite della funivia, ecco che si apre dopo circa tre ore dalla partenza lo spettacolo impareggiabile dell'altopiano delle pale di San Martino. Rifugio Pedrotti alla Rosetta, poi passo Pradidali e passo Fradusta (no, non fate come me che sono sceso verso il rifugio Pradidali, voi proseguite verso il passo Canali, mi raccomando!) e poi rifugio Treviso.

Da lì l'ultima fatica, forse la più dura di questi otto giorni: su per il sentiero impietoso che porta alla forcella delle Mughe: una continua salita fra, per l'appunto, le mughe, qualche roccetta su cui prestare attenzione nel finale della risalita e poi una discesa sulla quale prestare la massima attenzione arrivati (finalmente) sul versante veneto: siamo nel comune di Gosaldo e da qui raggiungiamo il bivacco Menegazzi. (R)accolto dal buon Denis, percorro gli ultimi dei 205 chilometri senza più sentire le gambe, ma in fondo nemmeno la fatica. Eccomi a Gosaldo, dal lato veneto della pale di San Martino, all'ombra della Croda Granda, all'estremità nordovest dell'Agordino e alle porte del parco delle Dolomiti Bellunesi. 

E, sarà vero che conta soprattutto il viaggio, ma a volte anche la meta non è male.

 

Riccardo Verzè

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