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Fravort e Gronlait, la porta del Lagorai

Il bivio "ingannevole" della Bassa: per salire la cresta bisogna spostarsi di una cinquantina di metri (Mafrici)
Il bivio "ingannevole" della Bassa: per salire la cresta bisogna spostarsi di una cinquantina di metri (Mafrici)
Fravort e Gronlait, la porta del Lagorai (Mafrici)

La lunga cresta Fravort-Gronlait è la porta d’ingresso al favoloso, selvaggio mondo del (o dei) Lagorai, la lunghissima catena che separa, con le sue rocce di origine vulcanica, la Valsugana e la Val di Fiemme, ed è lo spartiacque tra due mondi: a sud quello calcareo delle Prealpi Venete, a nord quello delle Dolomiti. In mezzo, appunto ci sono i porfidi del Lagorai, e i graniti della Cima d’Asta.

Montagne bellissime e ingiustamente - o per fortuna? - meno frequentate dagli escursionisti, fittamente tracciate da stradine e sentieri in buona parte di origine militare, dove i resti della prima guerra mondiale sono abbondanti ed evidenti. La scarsa frequentazione è legata sia all’asprezza di questa selvaggia catena, con vette ardite e dislivelli importanti, sia alla mancanza di una vera rete di rifugi gestiti (ce ne sono tre-quattro, più numerose le malghe). Insomma, quassù di merenderos se ne incontrano pochi anche la domenica, e capita di passare intere giornate senza vedere anima viva.

Molto sviluppata è invece la rete di bivacchi, che negli ultimi anni ha vissuto un periodo di nuove realizzazioni sull’asse della Translagorai, l’alta via lunga circa 80 chilometri, che mantenendosi sempre in quota collega il monte Calisio, sopra Trento, e il passo Rolle, ai piedi delle Pale di San Martino. Le vette sono tutte fra i 2.300 e i 2.754 metri della Cima di Cece, il «tetto» del trekking, e sono tutte fattibili da escursionisti con un minimo di esperienza. Un paradiso di democratiche soddisfazioni montane, a patto di portarsi acqua e cibo e di avere il giusto spirito di avventura. Insomma, non si può non conoscere il Lagorai.

Natura selvaggia e luoghi remoti nel cuore di montagne che, paradossalmente, presentano una miriade di vie d’accesso che permettono di salire rapidamente fino a 1.500-1.700 metri, e addirittura ai 2.000 del passo Manghen e del Rolle. Un’altra porta d’ingresso interessante per un «approccio dolce» è la Panarotta, sopra Levico Terme, che anche in questo caso ci porta fino a 1.780 metri in macchina. Da qui si parte per andare alla scoperta delle due cime del Fravort e del Gronlait, in un piccolo universo che è quello della valle dei Mocheni, sulla quale si affaccia la cresta.

Quest’angolo di Trentino è un’isola nella quale si parla una lingua germanofona, il mocheno appunto, portato da popolazioni di origine tedesca che, come i Cimbri della Lessinia, colonizzarono quest’area fra l’anno Mille e il 1350 circa, durante il cosiddetto Optimum climatico medievale, quando temperature medie più alte anche rispetto al periodo attuale permisero di coltivare terreni a quote più elevate. Dopo questa lunga premessa, veniamo al percorso che sono andato a fare. Diciamo subito che ho sbagliato strada, nel senso che volevo fare la cresta all’andata e il sentiero basso al ritorno.

Invece la segnaletica abbondante (e ingannevole, alla fine) mi ha fatto seguire un itinerario diverso e ho fatto il contrario. ma nessun problema, anche così questo giro merita. Si parte dal parcheggio degli impianti sciistici (1.780 m) e si seguono i cartelli fino alla Bassa (1.834 m), dove si sviluppano due tracciati: quello a sinistra della Translagorai per Forcella Fravort, e quello poco più in alto (sentiero 325) che percorre la cresta (e che, volendo, si può imboccare anche alla partenza, salendo prima sulla cima della Panarotta, 2.002 m, dove arrivano gli impianti di sci). Convinto di essere sulla via giusta, mi sono reso conto solo dopo che giusta non lo era, ma ormai non aveva senso tornare indietro.

E allora, avanti, lungo un piacevole sentiero, che prende quota in maniera quasi impercettibile, fra resti di trincee e difese militari fino ai poco più di 2.000 metri della Busa del Parol, ai piedi della Forcella Fravort e della cima dell’Oscivart (un’ora). Qui il sentiero s’impenna bruscamente per salire ai 2.161 del passo. Si va a sinistra sul sentiero 325 fino al vicino bivio per la cima del Gronlait, che si raggiunge in una quarantina di minuti su terreno erboso e poi sassoso.

La croce a quota 2.384 m è un punto panoramico di eccellenza, sia verso la catena del Lagorai che in direzione delle Dolomiti e delle Dolomiti di Brenta, oltre che sull’altopiano di Asiago, che si affaccia verso la Valsugana con una poderosa bastionata rocciosa e dislivelli di oltre 1.500 metri. Panorama che io e il mio collega Enrico non abbiamo visto a causa delle nuvole che poco a poco si sono alzate coprendo le vette. Dal Gronlait la cresta prosegue fino a un bivio dove a sinistra si sale sull’Hoamut (2.317 m) mentre a destra ci si ricollega al sentiero 325 della Translagorai che scende al passo della Portella.

Noi, invece, torniamo verso la Forcella Fravort passando sotto la cresta del Gronlait, fino a ritrovare il sentiero dell’andata. Dal passo inizia la faticosa risalita fino alla vetta del Fravort, lungo un sentiero militare ricco di reperti della Grande guerra che sotto e sopra la cima segnalano la presenza di un vero e proprio villaggio militare austroungarico, con camminamenti, scalette, basamenti di baracche, postazioni di artiglieria. Non a caso la vetta del Fravort (2.347 m) è anche un punto panoramico eccezionale, e la recentissima collocazione di un bellissimo punto di appoggio, il Bivacco dell’Amicizia, realizzato dagli alpini di Frassilongo Roveda e di Roncegno, con sei posti letto, è destinata a rivitalizzare la frequentazione di questa montagna facile e spettacolare.

E, per la sua posizione affacciata a sud, dal bivacco si può ammirare sia l’alba che il tramonto. Da segnare. Dal Fravort si scende lungo il crestone senza pericolo di errore (segnaletica non sempre evidente) fino alla Fontanella (2.037 m). Da qui si può raggiungere la tondeggiante elevazione del Prennputz oppure seguire il sentiero 325 che ci riporta alla Bassa, e da qui al punto di partenza. Alla fine, fra su e giù, si totalizzano con questo giro quasi 900 metri di dislivello in poco più di cinque ore, e una bella scorpacciata di verdi panorami (quando il tempo lo permette).

Claudio Mafrici

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