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L'intervista

Emil Hallfredsson: «Cara Virtus, io ci credo ancora. Vinciamone una e cambia tutto»

Ha ritirato il premio di Associazione calciatori e Unione stampa sportiva come miglior giocatore rossoblù dell’annata 2021-’22.
Premi e sorrisi Hallfredsson a Vicenza con la moglie Maria
Premi e sorrisi Hallfredsson a Vicenza con la moglie Maria
Premi e sorrisi Hallfredsson a Vicenza con la moglie Maria
Premi e sorrisi Hallfredsson a Vicenza con la moglie Maria

Sorriso affabile e quota di fiducia appena intaccata.  Il malumore - ovvio - per l’andamento lento della sua Virtus sovrastato dalla speranza di poter rovesciare l’inerzia e rimettersi presto in corsa: Emil Hallfredsson pensa sempre positivo, anche dopo il ko di sabato col Vicenza e anche dal palco del Teatro Comunale del capoluogo berico, dove ieri mattina ha ritirato il premio di Associazione calciatori e Unione stampa sportiva come miglior giocatore rossoblù dell’annata 2021-’22.

A consegna ultimata - direttamente dalle mani del “Barone” Franco Causio - Hallfredsson (accompagnato dalla moglie Maria, bella e sorridente) è uno dei calciatori più inseguiti dai ragazzini delle scuole presenti alla mattinata. E sono selfie, autografi, complimenti a pioggia «ma nessun assalto», precisa subito lui, che si tiene stretto il riconoscimento. «Soddisfatto? Certo. Anche perché è un premio che stavo aspettando da anni visto che avevo già giocato con Hellas, Udinese, Padova... E non mi era mai arrivato. A 38 anni è davvero un bel premio, ne sono molto orgoglioso».

Nonostante le attuali difficoltà della Virtus. In estate si parlava di ambizioni playoff. Invece vi ritrovate ultimi. Cosa non ha funzionato finora?
Non ce l’ho la risposta perfetta. Facciamo pochi gol ma non è che ne prendiamo tanti. Troppi pareggi e qualche vittoria mancata. Forse qualche volta dovevamo crederci un po’ di più e adesso secondo me il nostro è soprattutto un problema mentale. Ma appena ne vinceremo una magari ne infileremo qualche altra di fila. 

È stato sopravvalutato qualche giocatore o qualcuno potrebbe dare di più (o darà di più) trovando la chiave giusta?
No, è un fatto di squadra. Io non giudico un singolo. Se la squadra va male è perché tutti vanno male.

Quindi?
Quindi dovremmo aiutarci tutti - calciatori, società, staff - per lavorare meglio. Io per esempio, essendo uno dei più vecchi, dovrei dare l’esempio, parlare di più soprattutto coi ragazzi più giovani, dare la scossa soprattutto a chi si trova maggiormente in difficoltà. Noi vecchi dobbiamo prenderci le responsabilità per riaggiustare la situazione. Io ci credo ancora.

Qual è la partita che suscita i maggiori rimpianti? Quella in cui mancava davvero tanto così per portare a casa la vittoria?
Ce ne sono state diverse di quelle pareggiate che potevamo vincere. Come ce ne sono state alcune pareggiate che abbiamo rischiato di perdere. Ma non ce n’è una in particolare. Di sicuro per rimediare dobbiamo metterci tutti a testa bassa. Con umiltà. E lavorare bene tutta la settimana per arrivare a questi tre punti in una volta sola che ci mancano da troppo tempo.

Quindi la parola d’ordine resta “lavoro”, senza cercare alchimie particolari...
Sì, prima di tutto lavoro.

Parola un po’ abusata ultimamente...
Dimmene un’altra che può funzionare meglio! Ripeto: lavoro, testa bassa, umiltà. E bisogna crederci di più. Non esiste un pacchetto magico.

Della sconfitta col Vicenza che sensazioni sono rimaste, a parte il dispiacere (si immagina) per la sua panchina?
Bravo, appunto... Diciamo che sono rimasto un po’ deluso ma la partita precedente l’avevo saltata per un problema all’adduttore e in settimana mi ero allenato un po’ meno. Ma ci mancherebbe, va bene anche la panchina. Si tratta di scelte legittime che fa l’allenatore.

Nessuna polemica insomma.
No. È chiaro che io vorrei essere sempre in campo: se così non fosse sarebbe meglio che smettessi. Incazzato? Forse ma tutti quelli che stanno in panchina per me lo devono essere. Almeno un po’.

Quindi cosa resta dell’1-2 di sabato?
Diciamo che prendiamo gol troppo leggeri e dobbiamo avere qualche attenzione in più, sbagliare qualcosa in meno. Perché comunque non abbiamo giocato male. E abbiamo avuto più occasioni che in altre partite. Ma c’è poco da discutere: quando crei opportunità la palla bisogna metterla dentro.

Guardiamo avanti allora: sabato c’è Trento. Gliel’ha detto a Pasquato (un altro dei premiati di ieri, ndr) che andate là per raccogliere la prima vittoria? A Trento, scontro diretto, sarebbe l’occasione perfetta...
Ma sono settimane che diciamo che questa o quella partita sarebbero perfette da vincere... Ogni partita è perfetta da vincere. Adesso dobbiamo solo pensare a Trento ed esserci veramente, testa e fisico, al cento per cento.

Dodici anni di Verona, da quel 5-1 a Monza del 5 settembre 2010: cosa ha dato la città ad Hallfredsson? Anzi, in percentuale quanto Hallfredsson si sente veronese?
Almeno al 49 per cento... Direi 51 per cento islandese e 49 per cento veronese... Sono tantissimi anni che vivo a Verona, ci sono nati i miei figli. Anche mia figlia, nonostante avessi già firmato per trasferirmi a Udine. Verona mi ha dato tanto come calciatore e non solo. Qui ho imparato tantissime cose.

La prima che le viene in mente?
Mi ha insegnato a soffrire.

In che senso?
Sono arrivato che avevo fatto solo Serie A ma ho accettato il salto in C pur pensando di essere ancora uno da A. Dunque è stata una scelta sofferta ma avevo voglia di riscattarmi e avevo messo in preventivo anche questa sofferenza. A Verona ho imparato a superare i miei limiti. Eravamo anche partiti male, poi è arrivato Mandorlini e... il resto della storia faccio senza ricordarla.

E fuori dal campo?
Ho imparato una lingua nuova, una cultura nuova, una mentalità diversa visto che a Reggio Calabria, al Sud, era diversa. E poi qui ho conosciuto il mio primo grande amico italiano fuori dal calcio. Un poliziotto... Ma non dico il nome.

A proposito di Hellas, come vede l’attuale crisi dei gialloblù? Virtus e Verona cugini di disavventure...
Io sono ancora tifoso dell’Hellas, molto tifoso. Guardo tutte le partite con sofferenza. La tifoseria non merita una situazione del genere. Anche in questo caso il problema diventa mentale perché piano piano aumenta la pressione e poi tutto diventa più difficile. Meno riesci a vincere e più dura diventa. Ma basta una vittoria per cambiare tutto quanto. Io ho un esempio incredibile.

Quale?
Quando ero a Udine in un anno ne abbiamo perse tredici di fila, dico tredici. Ma poi ci siamo salvati. Allora dico: bisogna crederci ancora. E anche in questo caso io ci credo.

Preferirebbe che le dicessero che è un giocatore eterno, che è ancora un vincente o che ancora riesce a insegnare calcio?
Forse nessuna di queste perché per me il calcio è semplicemente passione. Mi piace allenarmi ogni giorno, dare consigli (e anche qualche... sberla) ai più giovani, mi piace vivere lo spogliatoio, anche se qualche volta sembro molto riservato. E poi il calcio è l’unica cosa che so fare.

È un calciatore di cui si dirà che era allenatore già in campo?
Non lo so. Devo vedere, misurarmi con ruoli nuovi. In campo do qualche consiglio ma non è che parli tanto. 

Le è rimasto un sogno nel cassetto legato al campo? Dove si vede Hallfredsson tra dieci, venti o trent’anni? Magari solo a vendere vino...
No, quello è un’altra passione di famiglia, mia e di mia moglie. Tra dieci anni mi piacerebbe avere qualche ruolo in un club. Magari proprio l’Hellas. Sì, all’Hellas tra dieci anni sarebbe bello perché all’Hellas io tengo tanto. Non so, magari è questo il sogno più grande ma forse è meglio che lo tenga per me. Chi lo sa, la scaramanzia...

 

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Francesco Arioli

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