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L'intervista

Paola Barbato: «Femminicidi? Ho un'opinione impopolare: per prima cosa dobbiamo imparare a difenderci»

di Alessandra Galetto
L'intervista alla scrittrice veronese di adozione (suo marito è lo scrittore Matteo Bussola) di recente passata a Neri Pozza editore
Paola Barbato
Paola Barbato
Paola Barbato
Paola Barbato

Al lavoro per un nuovo romanzo, che sarà, anche questo, un thriller. Perchè «si scrive ciò che si è, e io sono una persona perennemente spaventata. In questo modo ho fatto pace con le mie paure». Parola di Paola Barbato, milanese di nascita e veronese di adozione, scrittrice e sceneggiatrice famosa anche nel mondo dei fumetti, compagna dello scrittore Matteo Bussola, da cui ha avuto tre figlie e con cui vive nella nostra città.

Il suo inizio d’anno è segnato dunque dalla nuova «avventura» narrativa. Nella primavera 2023 era uscito «Il dono», edito da Piemme, rispetto al quale la Barbato aveva spiegato che «è un libro che ha dovuto aspettare, figlio di un’idea che ho avuto assieme ad altre alle quali ho dato la precedenza. Ho aspettato che venisse il suo momento, perché non era semplice da scrivere. Dovevo informarmi su una quantità enorme di cose, sui trapianti e non solo, e temevo che sarei diventata pedante: non potevo dare solo libero sfogo alla fantasia, c’era tutta una serie di elementi impossibile da ignorare». Riguardo alla prossima uscita, invece, spiega che il 2024 per la sua professione sarà un anno di cambiamenti significativi perchè «sono appena migrata nella casa editrice Neri Pozza per seguire la mia editor, alla quale sono legatissima: quindi parte una nuova avventura».

Il suo lavoro è scrivere, inventare storie, regalare insomma la possibilità a tutti i lettori di vivere altre vite, altre avventure rispetto alla loro esistenza. Certo però si sente spesso dire che la letteratura è in crisi, che i lettori calano. Come giudica lei, dal suo osservatorio di «addetta ai lavori», tutto questo?

Quello che dona chi scrive e inventa storie è l’evasione. Una volta a questo termine veniva attribuito un significato spregiativo; oggi viene considerata addirittura una necessità, è una richiesta primaria che ci arriva da tante voci, non soltanto dagli adulti ma anche dai ragazzi. I social stessi ci dicono che la tanto millantata crisi dei lettori giovani non è proprio così, che anzi spesso sono proprio i giovani a dettare molte delle tendenze del mercato editoriale. Il fenomeno dei booktoker è indicativo: su TikTok la passione per i libri ha spopolato in fretta, ci sono tantissimi ragazzi che parlano di libri. Così sulle piattaforme di scritture: molti ragazzi decidono di scrivere le storie che vorrebbero leggere. Allora forse il problema è che c’è uno sfasamento tra domanda e offerta, l’offerta non risponde alla domanda. Insomma come scrittrice, sul futuro della scrittura, sono ottimista.

Ha parlato di social. Soprattutto per i giovani sono uno strumento di comunicazione fondamentale. Durante il Covid, addirittura l’unica via di comunicazione. Ma i social sono davvero una «democrazia» che rende l’informazione accessibile a tutti, o si tratta di finta uguaglianza?

Non è affatto vero che i social portino ad un livellamento generale. C’è spazio per la voce di tutti, ma ci sono voci che hanno peso ed altre che restano inascoltate. Ci sono esiti felici come nel caso di Giulia Cecchettin: la voce della sorella attraverso i social ha saputo creare un movimento condiviso e ampio, e magari ha anche salvato qualche vita. Che poi i social possano anche essere un territorio ingannevole è evidente: come per tutti i non luoghi. Basti pensare che il detentore del social può decidere di cancellare tutto quello che noi abbiamo creato senza alcuna possibilità di intervento da parte nostra. La storia, le informazioni, le notizie che abbiamo pubblicato e condiviso da un momento all’altro potrebbero non esistere più. Fatte tutte queste considerazioni, io sono comunque una sostenitrice dei social: non sono in se stessi nè buoni nè cattivi, dipende dall’uso che ne facciamo, ma restano comunque una grande possibilità. E poi anche scrivere su TikTok una sceneggiatura o commentare un video è un bell’allenamento. Impone intanto un’ottima conoscenza della lingua italiana: se sbagli un congiuntivo non te lo perdonano! E poi può creare collaborazioni virtuose, il cosiddetto scambio, catene di buone idee che si diffondono.

Ha citato il nome di Giulia Cecchettin. Lei è donna e ha tre figlie femmine. Quali riflessioni sente di fare riguardo al dramma dei femminicidi?

Ho un’opinione impopolare. Non credo infatti che la soluzione sia quella, tanto invocata, dell’educazione sentimentale e sessuale, questa potrà funzionare tra due generazioni, diciamo per quelli che adesso sono bambini. Mi spiego con un paragone inopportuno ma facile da intendere: la raccolta differenziata. Una volta ci sembrava un’imposizione impossibile da attuare, ricordo mio padre che si lamentava dicendo che non eravamo nemmeno più liberi di buttare le immondizie a nostro piacere. Oggi i miei figli se sbaglio a buttare un tappo di plastica si scandalizzano come fossi una criminale: perchè con la raccolta differenziata ci sono nati. Allora penso che nel caso dei femminicidi non sia efficace puntare su una educazione sentimentale che arriva troppo tardi rispetto all’età di chi la riceve. E quello che mi colpisce non è solo il fatto che i femminicidi siamo così numerosi ma che spesso siano omicidi-suicidi: come dire, senza quella donna la vita non vale più. E dunque credo che anche un inasprimento delle pene non sarebbe efficace, perchè chi uccide è già pronto a rinunciare alla sua vita. Per questo penso che bisogna fare sì che le donne siano pronte alla difesa: aumentare per esempio i corsi di autodifesa. Troppe donne soccombono a un singolo uomo; poi se non hai immaginato che questa cosa potrebbe accaderti, non sei pronta a reagire. Dunque educare all’autodifesa. Certo bisogna ammettere che pensare di doversi addestrare all’autodifesa, significa non vedere un futuro tanto roseo.

Pensa che il movimento del Me-too sia stato giusto? Utile?

Fa un po’ tutto parte dello stesso calderone, vale lo stesso discorso fatto per i social: tutto è utile, poi basta che una persona sbagli e si perdono la forza e l’importanza di tutto quello che è stato fatto. Il punto fondamentale è che bisognerebbe sempre denunciare. Lo dico per esperienza, perchè io non sono riuscita a farlo. Vent’anni fa sono stata molestata da un uomo di potere e ho avuto paura, non sono stata capace di reagire.

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Prima parlava di raccolta differenziata. L’ambiente è un’altra grande sfida che ci aspetta.

Su questo sono ottimista. Qualcosa sta cambiando. Certo c’è il riscaldamento globale, e servirebbero impegni enormi da parte delle grandi potenze, ma insomma vedo che rispetto al passato è cambiato l’atteggiamento delle persone. Non sento più dire: e io cosa posso fare? C’è più consapevolezza, anche chi lascia i rifiuti sul ciglio di una strada poi scappa, vuol dire che sa che sta facendo qualcosa di riprovevole. E poi i giovani, che nell’emergenza climatica ci sono nati, sono partecipi, sensibili.

Cosa immagina per il 2024?

Se non ci arriva qualche altro sgambetto potente come quattro anni fa fu la pandemia, credo che nel dicembre 2024 potremo salutare l’anno che si chiude lasciando un mondo un po’ migliore rispetto a quello del 2023.

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