<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Viaggio nelle periferie

Qbr, Abba, Prz e pure Acab: le baby gang e i loro regni

Scritte sui portoni di corticella Sgarzarie (Foto Marchiori)
Scritte sui portoni di corticella Sgarzarie (Foto Marchiori)
Scritte sui portoni di corticella Sgarzarie (Foto Marchiori)
Scritte sui portoni di corticella Sgarzarie (Foto Marchiori)

Questione di territori. Di strade, parchi. Di quartieri interi. Le bande, le baby gang, se li spartiscono segnandoli. Li difendono e lo mostrano sul palcoscenico più visto di tutti: i social. I nomi dei gruppi devono essere semplici, veloci e facilmente riconoscibili. Nell’occhio del ciclone in questi giorni c’è la «Qbr», acronimo della gang che opera nel quartiere Borgo Roma. Lì dove pochi giorni fa per sedici ragazzini sono state emesse misure cautelari per reati che vanno dall’associazione per delinquere alla rapina, ma anche furto aggravato ricettazione, danneggiamento, indebito utilizzo di carte di credito e lesioni aggravate.

Leggi anche
Picchiavano e derubavano rider e ragazzini, sgominata una baby gang: 16 giovani nei guai

Ma Borgo Roma non è l’unico. Anche altre prendono il nome della «loro» zona come la «Abba» che a Borgo Trento fa riferimento all’area di via Giuseppe Cesare Abba, traversa della centrale IV Novembre. «Acab», acronimo di una frase in inglese, parecchio diffuso nel mondo del tifo organizzato contro le forze dell’ordine, invece è la sigla utilizzata da un altro gruppo attivo soprattutto a Veronetta. «Prz», Porta rispetto zoccola, è un’altra al femminile del centro. I gruppi hanno anche dei profili social, molto spesso chiusi e quindi «visitabili» solamente dopo essere stati accettati da chi gestisce l’account. Un modo per poter diffondere le proprie imprese, ma allo stesso tempo controllare chi le vede.

Non tutte hanno una firma, ma il territorio quello sì deve avere limitazioni precise. E quindi c’è l’area di riferimento di Legnago, Villafranca, Bovolone, Isola della Scala. In città, invece, una delle faide più calde è quella fra chi «gestisce» l’area di Golosine e quella di San Massimo. Durante le sagre, le feste di quartiere, capita che le due si trovino una davanti all’altra. Sono momenti di spartizione, di risse. Aree come quella in zona stadio e Santa Lucia, per le baby gang, restano porzioni di territorio da prendere. Quartieri vicini da conquistare. I protagonisti sono italiani, anche di seconda generazione. Altri sono di origine straniera, ma la provenienza conta fino a un certo punto. A far parte di queste bande sono ragazzi reclutati da giovanissimi. Alcuni poco più che bambini che frequentano ancora la scuola secondaria di primo grado. La tecnologia, poi, è uno strumento sfruttato a pieno per scopi diversi, ma tutti in un modo e nell’altro legati: far sapere, mostrarsi forti.

Controllare il mare di Instagram e Tik Tok è difficile. Ma è lì che passa di tutto. «È un mondo che per natura non è normato e questo rende tutto molto più difficile», spiega Giuliana Guadagnini psicoterapeuta specializzata in psicologia giuridica. La questione affrontata da Guadagnini è l’impunità: «Tutto quello che si fa e si mostra sui social sembra vivere in un limbo dove tutto è concesso. Questo fa male ai ragazzi, soprattutto ai più piccoli. Dovrebbero invece esserci delle norme in modo che chi sbaglia paghi». Sono quindi la fermezza e le regole che devono controbilanciare, secondo la psicoterapeuta, l’altra arma che si ha in questi casi: l’ascolto. «Da soli», sottolinea Guadagnini, «i due aspetti non possono funzionare».

Non è facile, e nemmeno troppo giusto, inquadrare il fenomeno baby gang con un certo genere musicale. Quello che va di più fra i giovanissimi, però, è la Trap, un derivato della musica rap hiphop. In Italia il movimento è stato introdotto al grande pubblico dal milanese Jonata Boschetti e cioè Sfera Ebbasta. Da quel momento tantissimi altri cantanti lo hanno seguito prendendo deviazioni diversi. Alcune, senza generalizzare, anche pericolose.

Le parole usate nei testi sono spesso violente, segno di riscatto sociale e non solo. Notizia di qualche giorno fa è quella del rapper Baby Gang - appunto - che annunciando l’uscita del suo nuovo singolo, «Paranoia», ha spiegato di aver girato con il cellulare una parte del video dal carcere di San Vittore dove era detenuto. L’altro giorno, sempre a Milano, faide fra gang avversarie sono sfociate nella violenza. «Capita», aggiunge l’esperta, «che siano questi i modelli che seguono i ragazzini, senza capire quale sia la differenza fra la realtà e il mondo di quei personaggi». Anche i giovani protagonisti dei fatti di Borgo Roma facevano riferimento a quel mondo. In particolare a Minur e Phipil, nuovi esponenti, seguitissimi, del panorama trap italiano. «Il problema di certi testi, di certe canzoni», sostiene ancora Guadagnini, «è che la violenza ripetuta nei testi e nelle immagini diventa la quotidianità. Viene in qualche modo banalizzata e non viene percepita come tale. Con tutta la portata che invece dovrebbe avere. A questo si collega il discorso dell’impunità sia reale che percepita: il vero punto su cui battere se si vuole affrontare questo fenomeno che si sta allargando sempre di più. E in maniera preoccupante», conclude l’esperta.

Nicolò Vincenzi

Suggerimenti