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ZUCCHERO

«La mia musica nel mondo»

«Il blues non morirà mai». Parola di Zucchero, sul palco dell’Arena  FOTOSERVIZIO BRENZONIIl chitarrista Hotei con «Sugar»: la rockstar giapponese ha suonato in Arena il primo maggio e ieri sera
«Il blues non morirà mai». Parola di Zucchero, sul palco dell’Arena FOTOSERVIZIO BRENZONIIl chitarrista Hotei con «Sugar»: la rockstar giapponese ha suonato in Arena il primo maggio e ieri sera
«Il blues non morirà mai». Parola di Zucchero, sul palco dell’Arena  FOTOSERVIZIO BRENZONIIl chitarrista Hotei con «Sugar»: la rockstar giapponese ha suonato in Arena il primo maggio e ieri sera
«Il blues non morirà mai». Parola di Zucchero, sul palco dell’Arena FOTOSERVIZIO BRENZONIIl chitarrista Hotei con «Sugar»: la rockstar giapponese ha suonato in Arena il primo maggio e ieri sera

Tre ore di torrido soul funk (e pure jazz) per «scaldare» l’Arena bagnata e infreddolita. Zucchero ha iniziato il primo maggio la cinquina «live» davanti a un anfiteatro da tutto esaurito o quasi. Stasera, domani e venerdì sera si replica, sempre alle 21.

«Sugar», ci dica almeno tre buone ragioni per venire a vedere di nuovo il suo show in Arena.

Solo tre?

Ok, la sua canzone parla di «13 buone ragioni», ma...

Eh, ma tredici sono tante! Vi dico che i concerti hanno una scaletta diversa, con brani rari, che ho suonato poco. Al mio fianco, la miglior band che abbia mai avuto. E suoniamo tre ore o quasi senza sosta.

Ancora all’Arena, dopo le 10+1 date del 2016. Potrebbe tornarci ogni anno, no?

Piano. Tutto è bene ciò che finisce. E basta. Le undici dell’anno scorso, le dieci di quest’anno: ventuno show sono tantissimi e non vorrei che poi mi identificassero solo con l’Arena. Capiamoci: da voi mi trovo benissimo.

Di base, nella prima parte dello show, resta «Black Cat», il nuovo disco. E poi?

E poi vado a ritroso. Mi gaso molto a suonare «Black Cat» perché è un disco che ho voluto fare seguendo solo il mio istinto; come piace a me. Non faccio dischi per passare in radio. «Black Cat», il successo del tour europeo 2016 e le prenotazioni del tour mondiale 2017 mi stanno dicendo che la gente, da me, vuole musica così, alla «Black Cat».

In scaletta - l’aveva promesso - ci sarà «Donne», giusto?

No, perché c’è quel «Du-du-du» che mi rompe le ****. Sembra «Trottolino amoroso» di Minghi, «du -du -du -da -da -da»...

Ospiti?

C’è stato Hotei, chitarrista giapponese per due sere. Con lui ci rivedremo a fine mese a Tokyo.

Lei ama la musica black, dal blues-r’n’b anni ’50 al funk anni ’70-’80. E il rap?

Lo ascolto. I veri rivoluzionari oggi sono i rapper. Il rock non è più contro il sistema: si è annacquato. Ma il rap non mi prende come musica: è di maniera e non mi entra dentro. A parte qualche eccezione come Rag’n’Bone Man e Aloe Blacc, che non sono propriamente hip hop, ma hanno voci interessanti.

Ma non ospiterebbe un rapper italiano in un suo disco?

A far cosa? Se non canta, non so cosa potrebbe fare.

L’hip hop, però, è ovunque, oggi. E come si trova, lei, nel panorama del secondo millennio?

Mah, io trovo che non si parli più di musicisti. Cioè un musicista non fa necessariamente musica, ma altre cose. Comunica. E se è bravo, magari comunica bene e riempie gli stadi. Però molti di quelli che dicono di fare i musicisti, dovrebbero tornare a zappare la terra. Più badili e meno chitarre. Il futuro della musica? Bisognerebbe distruggere le multinazionali e tornare alle etichette indipendenti.

E il suo futuro?

Penso a invecchiare bene. Per mantenersi sulla breccia bisogna far due cose: morire giovani o invecchiare bene. Per me la seconda ipotesi vuol dire andare in giro a suonare; stare in compagnia dei miei amici delle elementari; e passare le sere con Francesco Guccini, il mio «prof di vita». Invecchiando, torno sempre più alle mie radici emiliane. Sì, faccio un world tour, lo so, ma sento la necessità di ritrovare il mio piccolo mondo di bambino. Che poi è quello che ritrovate voi nelle mie canzoni.

Giulio Brusati

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