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Lugagnano di Sona

La seconda vita di Borin: «Facevo lo scultore per i papi, ora sono un bidello»

Trent'anni di carriera artistica, poi il lockdown del Covid e la svolta
Stefano Borin, scultore e ora bidello (foto Pecora)
Stefano Borin, scultore e ora bidello (foto Pecora)
Stefano Borin, scultore e ora bidello (foto Pecora)
Stefano Borin, scultore e ora bidello (foto Pecora)

Da scultore a collaboratore scolastico. Lui è Stefano Borin, 56 anni, trent’anni dei quali trascorsi a ideare, disegnare e poi creare nelle fonderie le sculture che gli venivano commissionate da enti pubblici e privati, ma anche istituzioni religiose. Ha lavorato per il Vaticano e per alcuni simboli della cristianità come il santuario di San Pio da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo, la cattedrale di Nostra Signora degli Angeli a Los Angeles, passando per i numerosi lavori realizzati in Francia, dalla cattedrale di Notre Dame al Santuario di Lourdes, solo per citare alcune tra le sue collaborazioni più prestigiose. 

Ora è «bidello», come ama definirsi, alla scuola media Anna Frank di Lugagnano di Sona.

 

Com’è avvenuto il cambio di vita?

Nel 2018 la mia fidanzata di allora mi disse che c’era la possibilità di iscriversi alle graduatorie Ata. In quel periodo mi lamentavo sempre: non avevo orari, né sabati né domeniche. Anche se mi sembrava strano cambiare vita, mi fidai. Rinunciai alle prime chiamate perché troppo preso con la mia attività. Quella decisiva fu il 14 gennaio 2020, dalla scuola di Villafranca: attraversavo un momento di fermo e accettai. Il lavoro mi è piaciuto subito: stavo bene e dopo tanto tempo riuscivo a dormire. Finito il contratto a Villafranca iniziò il lockdown per il Covid. Quei mesi mi servirono per chiudere l’attività e l’autunno dopo mi richiamarono per fare il bidello a Fumane.

 

Cosa le piace di questo lavoro?

Il contatto con i ragazzi e la possibilità di coltivare le mie passioni. Soprattutto non prendo più la vita in modo compulsivo. Purtroppo molti artisti sono costretti a fare sacrifici immensi, perché è spesso difficile riuscire a vivere del proprio lavoro, che non ha remunerazione costante ma a livello di tassazione è considerato alla stregua degli altri.

 

Le sue origini?

Sono nato a Peschiera del Garda, dove ho vissuto parte dell’infanzia e pur essendo cresciuto a Verona mi sento «peschierotto». La famiglia di mia mamma era di Filadelfia, in Calabria. Mio bisnonno, Francesco Stillitano, è stato scultore del Fascio. Mio nonno Franco era pittore, decoratore e restauratore: insieme a suo fratello Totò ha restaurato la parte bassa della cappella Sistina. Mia mamma ha sempre dipinto. Mio papà invece era vigile urbano. Ho preso il diploma in chimica per lui, poi ho fatto il liceo artistico, di sera perché lavoravo già come scultore.

 

Quale opera l’ha resa più orgoglioso?

Le medaglie dei papi e tutti i lavori fatti per il Vaticano. Quando ho consegnato il prototipo della medaglia commemorativa dedicata a papa Benedetto XVI ho incontrato padre Georg Gänswein: è rimasto soddisfattissimo, l’ha mostrato subito al pontefice che ha dato la sua approvazione.

 

A quale è invece più legato?

L’urna per i coniugi Louis e Zelie Martin, genitori di Santa Teresa di Lisieux: è stata esposta davanti a 50mila fedeli. E poi il lavoro per Anna Frank, quest’anno per le medie di Lugagnano, dove lavoro. Lavorare per il Papa è prestigioso, ma dal punto di vista emotivo Anna Frank mi ha fatto andare oltre.

 

Come è nato il contatto con il Vaticano?

Proponendomi con una telefonata: erano i primi anni Duemila. Dopo quattro-cinque passaggi sono arrivato al cardinale Angelo Bagnasco, che mi ha detto di mostrare alcune mie creazioni. Sono andato a Roma e da lì è partita la collaborazione. Ho realizzato medaglie commemorative per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, rosari per i bookshop del Vaticano e dei Musei vaticani, doni istituzionali.

 

Le manca qualcosa della sua vita precedente?

Nulla, tutto quello che dovevo fare l’ho fatto, sono soddisfatto. Ho conosciuto persone meravigliose che mai avrei incontrato in altri ambiti, sono entrato in ambienti che non avrei mai potuto varcare come i reparti chiusi al pubblico dei musei. Oggi oltre a portare avanti collaborazioni artistiche mi dedico al teatro: mi piace leggere ad alta voce, sto studiando dizione per farlo al meglio.

 

Dove incanala la sua vena artistica?

La scultura vera e propria l’ho lasciata. Mi piace scolpire soldatini, li realizzo per dei collezionisti. Fino a vent’anni fa avevo la mia ditta specializzata, tra quelle che vendeva di più a livello mondiale, l’ho ceduta. Poi disegno illustrazioni per libri di storia e civiltà antiche per alcuni editori stranieri e collaboro con riviste si settore: bisogna riprodurre bene ogni dettaglio, serve anche una ricerca storica dei materiali che faccio sotto la guida degli archeologi e mi appassiona molto. Ho disegnato anche dei cartelloni per alcuni film presentati a Cannes.

Katia Ferraro

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