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Da Marano escursione spettacolare ma insidiosa

Dentro la Val Sorda tra ponte tibetano e labirinti di sentieri

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Il ponte tibetano in Val Sorda
Il ponte tibetano in Val Sorda
Il ponte tibetano in Val Sorda
Il ponte tibetano in Val Sorda

La preistoria a portata di mano e di piede. Natura selvaggia. Boschi, cascatine in un rio fra due pareti rocciose. E labirinti di sentieri. È la Val Sorda, la gola che parte da Fumane, in Valpolicella, e divide a nord Marano e Sant’Anna d’Alfaedo, in Lessinia. Qui, nel territorio del Comune valpolicellese di Marano, c’è anche il ponte tibetano in acciaio che collega le due sponde della forra, a strapiombo per una quarantina di metri.

Inaugurato nove anni fa, il ponte è diventato un’ulteriore attrazione per escursionisti e anche per turisti che giungono, numerosi, solo per quello. Nella zona però ci sono stati tanti infortuni e casi di persone disperse sui sentieri, con interventi del Soccorso alpino. Così - ma senza voler fare scuola - siamo qui per conoscere un po’ più a fondo questo ambiente quasi incontaminato, in cui è stato posto il ponte.

 

L’escursione non è una passeggiata. Servono perciò scarponi, meglio se alti per riparare le caviglie, e un po’ di allenamento e abitudine a percorrere, in salita e discesa, sentieri ripidi. Come in montagna. Che con umidità e pioggia diventano scivolosi e insidiosi.

 

L'ITINERARIO

Nella Val Sorda ci sono sette sentieri, di varia difficoltà tecnica. Noi scegliamo quello più classico per il ponte, che parte da malga Biancari, in località Girotto, a quota 595 metri. Vi si arriva svoltando a sinistra - seguendo una freccia - circa un chilometro dopo l’abitato di San Rocco, poco oltre Marano. Qui si parcheggia. Su una bacheca la cartina topografica delle escursioni e tutti i sentieri - compresi i livelli di difficoltà - segnati con tabelle e frecce che riportano i colori rosso e blu e i tempi di percorrenza.

Il sentiero che conduce all’accesso sud del ponte tibetano è il numero 1. È lungo un chilometro e mezzo, con 175 metri di dislivello. All’andata è in discesa. È classificato come “molto difficile”. Non bisogna spaventarsi, ma serve molta attenzione. Il primo tratto è su strada bianca, agevole, di un chilometro. Seguendo sempre le indicazioni, dopo qualche centinaio di metri si deve deviare a destra, prendendo il sentierino che, anche con saliscendi su gradini di roccia e scalini di legno, porta all’accesso sud del ponte. Servono altri 600 metri. Lungo il sentiero - il cui fondo è ben tenuto - nei punti più esposti sul bosco ci sono cavi di acciaio corrimano, a cui è comodo attaccarsi. E paratie con reti di metallo robuste, ottimamente collocate.

Arrivati all’accesso sud del ponte tibetano, sopra la gola in mezzo alla fitta vegetazione, lo si percorre con calma - è lungo 52 metri - tenendo conto che balla un po’. E comunque consapevoli che sotto c’è uno strapiombo di quaranta metri, sul vajo del rio Mondrago. La struttura è larga settanta centimetri e i corrimano sono alti un metro e venti. Si passa anche in due, in andata e ritorno, ma se si può è meglio evitarlo. Si arriva dunque alla parte opposta, all’accesso nord del ponte. A questo punto si può tornare indietro, ripercorrendo il ponte fino all’accesso sud e a malga Biancari, rifacendo il sentiero d’andata.

Oppure, dall’accesso nord, prendendo il sentiero numero 3 si sale alle grotte di Campore. È un erto percorso, con roccette, non attrezzato con cavi corrimano come all’andata, per poi scendere di molto, facendo anche qui molta attenzione, verso località Molin de Cao. È un’escursione a due facce, con minori attrezzature nella parte nord. Per completare l’anello, da Molin de Cao va preso il sentiero 5, con i segni rosso e blu, che con una salita classificata “molto impegnativa” di quasi trecento metri di dislivello, conduce al bivio con il sentiero 1, quello dell’andata. Si riprende l’1 e si ritorna a malga Biancari.

La versione breve del giro, cioè andata e ritorno dal ponte sul sentiero 1, dura circa un’ora e mezza. Il giro ad anello passando da Molin de Cao richiede circa due ore e mezza. Gita spettacolare. Ma ci vuole prudenza. Seguire bene le frecce. E occhio a dove si mettono i piedi.

Enrico Giardini

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