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approvato alla camera il disegno di legge sull'omicidio nautico

Uccisi dal motoscafo sul Garda, la mamma di Greta: «Da allora al lago non vado più. Ormai viviamo senza futuro»

di Stefano Joppi
I tedeschi alla guida del Riva, condannati in primo grado, sono ricorsi in appello. I genitori: «Speriamo che l'iter parlamentare prosegua in fretta. Se fosse stata in vigore la legge la condanna sarebbe stata più pesante»
Greta Nedrotti, morta in un incidente nautico nel lago di Garda insieme a Umberto Garzarella
Greta Nedrotti, morta in un incidente nautico nel lago di Garda insieme a Umberto Garzarella
Greta Nedrotti, morta in un incidente nautico nel lago di Garda insieme a Umberto Garzarella
Greta Nedrotti, morta in un incidente nautico nel lago di Garda insieme a Umberto Garzarella

Nel suo profilo di whatsapp campeggia il volto solare dell'amata figlia Greta. Lei Nadia, alle prese con un dolore senza fine, prova a mettere in fila il guazzabuglio di sofferenza che ritorna ciclicamente da quel maledetto 19 giugno del 2019.

La ricostruzione

Quella sera la figlia venticinquenne, studentessa di Economia e Commercio, e Umberto Garzarella, 37 anni di Salò, erano fermi a bordo di un gozzo nel Golfo di Salò: furono travolti e uccisi da un Riva condotto da due manager tedeschi. 

Erano da poco passate le 23 quando si consumò una tragedia arrivata a smuovere il Parlamento, che nei giorni scorsi ha approvato il disegno di legge sull'introduzione del reato di omicidio nautico. Tocca ora alla Camera tramutarlo in legge.

«Speriamo che l'iter parlamentare prosegua velocemente. Certo i pericoli sono tanti: arrivano non solo dai mezzi a motore ma anche dai kitsurf», afferma Nadia Nedrotti.

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Al suo fianco ascolta il marito Raffaele. Una coppia forte, insieme da oltre trent'anni. «Si vive giorno per giorno senza futuro. Greta era la nostra unica figlia e tutta la nostra esistenza era “declinata” su di lei», interviene Raffaele: un gesto tenero, il suo, per consentire alla consorte di “respirare”. Difficile non venire soffocati da un dolore simile, che relega tutto il resto a ruoli marginali.

Confessa Nadia che da quella maledetta sera lei, gardesana doc, non ha più trovata la forza di affrontare il lago di Garda. Un Benaco che non ha colpe. «È il nostro mondo, siamo nati qui», afferma. «Mio marito è stato più forte di me. È uscito in barca un paio di volte, ma sempre puntando verso nord, lasciandosi alle spalle il luogo dove sono morti Greta e Umberto. Purtroppo ciò che è successo è figlio di un atteggiamento sconsiderato di chi era a bordo del motoscafo Riva», dice Nadia.

Il processo

«Loro due sono stati condannati in primo grado (4 anni e sei mesi per chi guidava l'imbarcazione, 2 anni e sei mesi per il compagno di bordo ndr), anche se alla fine se la sono cavata con poco e ora hanno anche il coraggio di ricorrere in appello. Certo è un loro diritto. Come c'è scritto in tribunale, la legge è uguale per tutti. Ma per noi è riaprire una ferita ancora troppo fresca», afferma Nadia.

Poi fa un sospiro lungo e aggiunge: «È assurdo. Tutto assurdo. Lo è stato sin dall'inizio. Sarà perché sono persone facoltose e quindi hanno attivato tutta una serie di persone a loro difesa, ma il loro comportamento non è stato certo all'insegna del pentimento. Si percepisce, anche se poi formalmente in tribunale hanno fatto dei gesti in questa direzione, apparsi più come mosse per beneficiare di sconti sulle pene. Ho seguito tutto il dibattimento processuale e la sensazione che ho avuto è che non abbiano capito la gravità di quanto hanno fatto».

E continua: «È senza dubbio così perché i loro periti hanno messo in discussione la velocità con cui conducevano il motoscafo e molto altro. Sembra quasi che la colpa sia stata dei due ragazzi che erano fermi sul gozzo. Capisce? La verità è che nessuno potrà più restituirci la nostra Greta. Sono passati anni ma siamo ancora increduli davanti alla tragedia che ha colpito la nostra famiglia e quella di Umberto. Noi la nostra condanna l'abbiamo per tutti i giorni che vivremo». Nadia si blocca.

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«Conoscendo i tipi diranno in appello che la colpa è dei ragazzi», interviene Raffaele, operaio cartaio prossimo alla pensione. «È vero che siamo in uno stato libero e tutti hanno diritto di provare le loro ragioni... No, con loro due non abbiamo mai parlato», continua, «e sinceramente preferisco non accada. So solo che se fosse stata in vigore la legge per cui si sta lavorando ora in Parlamento la loro condanna sarebbe stata più pesante», afferma il papà di Greta.

Nessun pentimento

Che confessa: «Se il giorno dopo l'incidente fossero venuti a cercarci, avessero ammesso le loro colpe fosse sarei anche arrivato a metabolizzare che è stato un assurdo incidente come spesso capitano in strada. Invece nulla di tutto questo si è verificato. Hanno avuto un comportamento strano. Sia chiaro, non ho nulla contro i tedeschi. Ho tanti amici tra loro. Non centra la nazionalità», conclude Raffaele che rivolge un pensiero affettuoso alle amiche di Greta («Ci sono sempre vicine») e all'avvocato (Caterina Braga, ndr) «diventata una di famiglia».

«Non ho nessun rimprovero da farmi. Mia figlia era giovane e aveva diritto di trascorre una serata estiva in barca. Non è colpa dei due ragazzi», si congeda Raffaele che, come ogni giorno, è andato a trovare al cimitero la sua amata Greta.

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