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Intervista all'assessora

Effetto Venezia? «Verona è un caso diverso, ma servono scelte per gestire i turisti»

Marta Ugolini parla della necessità di «incrociare i dati del mercato immobiliare e dei flussi, parlare con le categorie per studiare strategie. No al numero chiuso, incoraggiare il turista che prenota»
L'assessora Marta Ugolini e il nuovo ingresso per il cortile di Giulietta
L'assessora Marta Ugolini e il nuovo ingresso per il cortile di Giulietta
L'assessora Marta Ugolini e il nuovo ingresso per il cortile di Giulietta
L'assessora Marta Ugolini e il nuovo ingresso per il cortile di Giulietta

Non li ferma neppure la pioggia. Non sono i 70 mila dell’Immacolata, il giorno del record, con il centro storico affollato come un alveare. Ma l’onda turistica a Verona pare inarrestabile, anche sotto gli ombrelli e avvolta nei «gusci» in Goretex. Mercatini di Natale, di Santa Lucia, il mito di Giulietta, la semplice voglia di evasione.

«Si rischia un “effetto Venezia“», avverte Jan Van Der Borg, docente proprio all’università Ca’ Foscari, specializzato nell’analisi dei flussi turistici. «Verona è diversa, soggetta a ondate di visitatori, spesso “giornalieri“, legate a momenti e luoghi particolari», osserva Marta Ugolini, assessora a Turismo e Cultura. «Il fenomeno, ormai, è costante. E richiede un’analisi approfondita che includa tutte le realtà coinvolte, dalle categorie economiche all’aeroporto. Un incrocio di numeri e dati che permetta di elaborare strategie. Guardando anche fuori, alle buone pratiche di altre città».

Un dato di fatto: la «stagione morta», in riva all’Adige non c’è più. Non si rischia di «venezizzarci», di finire stritolati, come città, dall’onda turistica?
«Venezia è una realtà assai specifica, per propria conformazione, caratterizzata già da forme di spopolamento. Il suo turismo massivo di oggi insiste su un “vuoto“ già preesistente. Verona è un caso diverso. Il paragone tra le due città non può essere automatico».
Perché?
«Verona attrae un grande numero di visitatori “di prossimità“, da province e regioni vicine. Escursionisti che non entrano nelle statistiche ufficiali poiché, in massima parte, non pernottano. Capire queste dinamiche ci consentirebbe di valutare, con dati reali, se vi sia il rischio del cosiddetto “overtourism“, la saturazione».
Ma il problema resta. Perlomeno sotto il profilo della gestione...
«C’è un’analisi approfondita da svolgere: solo da ciò può nascere una strategia. Un fattore discriminante è rappresentato dalle trasformazioni di unità abitative in strutture ricettive. È un elemento che può spiegare molto, assai di più dell’andamento di prezzi ed affitti degli immobili».
In che senso?
«Un vero studio che incroci i dati del mercato immobiliare con i flussi turistici ancora non è stato effettuato. Dobbiamo tenere presente come la trasformazione in atto sia di un intero sistema e abbia un impatto anche sul commercio al minuto ed il rapporto con i residenti. Tutto ciò va considerato, non bastano i numeri. E tutte le categorie devono essere coinvolte».
L’aeroporto «Catullo» punta ai cinque milioni di passeggeri nel 2026...
«Il suo ruolo è importantissimo, anche se non esclusivamente turistico. Un po’ mi preoccupa però una strategia legata meramente alle quantità. Come dicevo, dietro c’è un intero sistema. E in tale ottica si dovrebbe ragionare».
Appunto, c’è Verona ma anche il suo territorio. E ormai il legame pare saldo e indissolubile...
«Dall’estero ci guardano come una realtà territoriale, vasta. Quest’anno diviene operativa Destination Verona & Garda Foundation. Ed è questo il tipo di dialogo che già esiste e va incoraggiato: bisogna assolutamente parlarsi, chiunque sia coinvolto, incluse le regioni vicine. Anche nel segno della sostenibilità».
Il concetto di «sostenibile» applicato al turismo? Numeri chiusi magari?
«No, per carità, niente divieti: smetteremmo così di essere un città. Ma neppure un inseguimento dei record sulla scia di un modello di sviluppo capitalistico che sta distruggendo il pianeta. È una strada che porta a schiantarsi».
Più qualità e meno «mordi e fuggi», dunque?
«È questo il nodo da sciogliere, qualcosa su cui puntare. Un piccolo paradosso: oggi chi prenota la visita ai Musei Civici (ieri 2.900 biglietti staccati fino alle 15,30, ndr) paga un euro di “prevendita“. Dovrebbe essere il contrario: programmare una visita facilita la gestione, una scelta che dovrebbe essere incoraggiata».
Vede altrove esempi cui ispirarsi?
«Bologna, con il “Welcome“, ha fatto un buon lavoro. E Brescia è d’esempio quanto a restauri e mostre. Guardare alle buone pratiche altrui è necessario, l’idea dell’amministrazione locale che viaggia solitaria, oggi, non può funzionare».
Chiudono molti piccoli esercizi, anche storici, nel cuore della città...
«E qui emerge una grave perdita, a ben vedere un altro degli effetti degli anni del Covid, che si somma al problema del ricambio generazionale: l’esplosione dell’e-commerce sta creando difficoltà infatti anche ai grandi centri commerciali. Tutto ciò, nel centro storico della nostra città, si avverte, eccome. Ed è una perdita di servizi per i residenti. Perciò è necessario analizzare i fenomeni legati al turismo da tutte le angolazioni. Quella in corso è una trasformazione multisettoriale».
In passato si era molto parlato di un passaggio di grado per Verona, verso la «città metropolitana». Più fondi, risorse, possibilità...
«Andrebbero valutati vantaggi e svantaggi. Se ciò significasse un’integrazione reale con il territorio, anche per infrastrutture e trasporti l’ipotesi sarebbe da valutare. Non servirebbe granché se tutto si riducesse all’avere qualche agente

Paolo Mozzo

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