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l'incidente sulla serenissima

Inferno di fuoco nella notte: la strage del bus ungherese a Verona Est

Diciassette le vittime del rogo sul pullman che trasportava i giovani di un liceo di Budapest, dopo la sbandata mortale per un colpo di sonno dell'autista. Un altro passeggero morto dopo due mesi. Nel 2019 addio anche al professore eroe che aveva salvato molti ragazzi, ma non i suoi due figli. L'autista condannato a sei anni
L'inferno di fiamme a due passi dallo svincolo di Verona Est e la carcassa del bus
L'inferno di fiamme a due passi dallo svincolo di Verona Est e la carcassa del bus
Autobus in fiamme in A4 (video Fossà)

Un pullman viaggia lungo la Serenissima, in direzione Venezia. È notte, i 56 passeggeri dormono. Tutto sembra tranquillo, quando in pochi attimi si consuma la tragedia: il bus inizia a sbandare verso destra, urta il guard rail e lo deforma, abbatte il palo dell’illuminazione e quello della segnaletica per finire, dopo una quindicina di metri, contro il pilone del cavalcavia di Verona Est. Pochi attimi e il mezzo è avvolto dalle fiamme. Un incendio che squarcia il buio della notte e spegne le vite di 17 persone.

È la strage del bus ungherese, tristemente ribattezzata la «strage di Verona». Mai, infatti, a memoria d’uomo un incidente stradale così grave, in termini di vite, sulle strade scaligere.

La ricostruzione

Era la tarda serata del 20 gennaio 2017. Il pullman stava riportando in patria un gruppo di studenti del liceo classico Szinyei Merse Pal Gimnazium di Budapest, in Ungheria, che aveva appena concluso una settimana di vacanza in Francia. Secondo quanto accertato durante il processo, il mezzo viaggiava alla media di 100 chilometri orari.

Poco prima di mezzanotte, stando alla ricostruzione del sostituto procuratore Paolo Sachar, titolare dell’inchiesta, il conducente avrebbe «perso il controllo del mezzo, per un colpo di sonno, deviando gradualmente la traiettoria di marcia verso destra». Dopo la sbandata mortale, il bus finisce la sua corsa contro il pilone del cavalcavia dello svincolo, che si incunea per circa otto metri nell’autobus – pari a sette file di sedili – distruggendo anche il serbatoio. L’incendio divampa in pochi secondi e non lascia il tempo a molti degli occupanti di uscire e mettersi in salvo.

Il bilancio e l'addio al professore eroe

Muoiono bruciati, in quella notte maledetta, 16 passeggeri: 11 studenti del liceo classico Szinyei Merse Pal di Budapest (tra i 14 e i 18 anni) e cinque adulti (tra cui quattro accompagnatori e il secondo autista). Feriti gravemente altri quattro ragazzi (che riportano ustioni e traumi alla testa) mentre 25 persone se la cavano con 30 giorni di prognosi.

La diciassettesima vittima è un adulto, morto a Budapest il 22 marzo del 2017 in conseguenza delle ferite riportate.

Agenti della Polizia sul luogo della tragedia
Agenti della Polizia sul luogo della tragedia

Dopo due anni e mezzo, nell’ottobre 2019, morirà anche Vigh Gyorgy, il professore eroe che quella notte, pur essendo rimasto a sua volta ferito, aveva aiutato molti studenti a uscire da quella trappola infernale. Ma non i suoi due figli, Laura e Balazs, rimasti uccisi nell’incendio. Il 25 aprile dello stesso anno il docente di educazione fisica era stato insignito dalla Repubblica Italiana, tramite il Ministero dell’Interno, della medaglia d’oro al valor civile.

Le testimonianze

Un automobilista che seguiva il pullman descrive una scena apocalittica: «Ho visto gente che bruciava viva, immagini terribili che non potrò mai dimenticare», è la sua drammatica testimonianza. «Sono sceso e mi sono diretto a piedi per vedere se ci fosse bisogno di aiuto. Si sentiva urlare, le persone si mettevano le mani nei capelli. E c’erano altri corpi che erano stati sbalzati fuori dal pullman, ragazzi che erano usciti dal finestrino».

Parenti delle vittime assistiti dalle psicologhe della Polizia di Stato e dagli Agenti della Polizia Stradale
Parenti delle vittime assistiti dalle psicologhe della Polizia di Stato e dagli Agenti della Polizia Stradale

Molto provati anche i soccorritori, gli agenti della Polizia stradale di Verona arrivati in nemmeno dieci minuti sul posto insieme ai sanitari del 118 e ai Vigili del Fuoco: «Anche chi aveva finito il turno è tornato in servizio, quella notte non potevamo stare a casa», le parole scritte l’Agente Lisa della Polizia di Stato, social network della Polizia su Facebook.

Doppia inchiesta, sei gli indagati

Due le inchieste parallele aperte sul disastro: una della Procura veronese, l’altra della polizia magiara. Le indagini, in Italia, si concludono nel febbraio 2018: sei le persone indagate dalla magistratura italiana.

I vigili del fuoco sul luogo dell'incidente
I vigili del fuoco sul luogo dell'incidente

Si tratta di Jànos Varga, di 53 anni, l’autista dell’autobus rimasto gravemente ferito nell’incidente (ha avuto un colpo di sonno, conferma la Procura, perdendo il controllo del mezzo); Alberto Brentegani, responsabile dell’autostrada A4 Brescia-Padova, che non avrebbe verificato lungo la rete stradale di propria competenza «le condizioni di efficienza e di adeguatezza delle pertinenze stradali»; Giovanni Luigi Da Rios, capo dell’Ufficio tecnico e autore del progetto per i lavori di sistemazione dello spartitraffico centrale e delle barriere di sicurezza (a tripla onda), risalenti al 1992. Barriere, scrive il titolare delle indagini, «del tutto inadeguate per la protezione dagli effetti dello svio veicolare in presenza di ostacoli fissi».

In sostanza, per la Procura, le barriere non sarebbero state sufficienti per proteggere i veicoli da un eventuale sbandamento, anche in considerazione della ridotta distanza dai piloni di sostegno del cavalcavia.

E poi ancora, Michele De Giesi, Maria Pia Guli ed Enzo Samarelli, componenti della Commissione nominata dall’Anas (nel 1993) con il compito di collaudare i lavori di fornitura e posa in opera delle barriere stradali. Per tutti l’accusa è la stessa: omicidio stradale plurimo, reato che è punito con una pena massima di 18 anni.

Il 24 maggio dello stesso anno il pubblico ministero Paolo Sachar chiede il rinvio a giudizio dei sei indagati, chiamati a comparire davanti al gip Luciano Gorra per rispondere di omicidio colposo plurimo.

Commemorazione incidente bus ungherese

Il processo e i parenti delle vittime

Il primo ad essere giudicato è l’autista, che sceglie il rito abbreviato. La tesi sostenuta dai suoi difensori è che, al momento dell’impatto, alla guida si trovasse il secondo autista (morto a causa delle lesioni riportate). Una tesi che non trova accoglimento e che, come motiva il Gup, è anzi contraddetta da alcune riprese effettuate nell’area di servizio Brianza Est.

Durante le udienze si assiste anche alla triste passerella dei parenti delle vittime. László Marton è il padre di una di loro. Arriva a Verona indossando una maglietta nera con impressa l'immagine del suo ragazzo. «Un genitore che perde un figlio, per sua natura, continuerà sempre a sentirsi in qualche modo in colpa», dice con la voce rotta. «Per questo è ancora più fondamentale accelerare i tempi della giustizia».

Fiori, commozione e dolore davanti al liceo di Budapest frequentato dalle vittime
Fiori, commozione e dolore davanti al liceo di Budapest frequentato dalle vittime

Diciotto croci

Anche in Ungheria, intanto, si continua a chiedere giustizia. Nel dicembre del 2019 diciotto croci, come il numero delle vittime dell’incidente, vengono collocate la sera di Natale davanti alla casa di  Janos Varga, l’autista.

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A rendere nota la protesta delle croci è stato Endre Szendrei, zio di una delle vittime: «Il 25 dicembre abbiamo collocato davanti alla casa dell’autista 18 croci e 18 lumini: 18 perchè la morte di Vigh Gyorgy la riteniamo una conseguenza dell’incidente. Negli ultimi tre anni non ha avuto il coraggio di guardare negli occhi i familiari, non ha osato chiedere scusa perché non era riuscito a salvare la vita dei passeggeri affidatagli, non era riuscito a portarli a casa in sicurezza».

La condanna in primo grado

Varga, emerge in dibattimento, si era messo al volante dell’autobus «pur sapendo di essere affetto dalla sindrome delle apnee notturne, caratterizzata da involontari addormentamenti durante il giorno, che lo rendeva inidoneo alla guida di qualsiasi veicolo».

Il 19 giugno 2020 arriva la condanna in primo grado, che tiene conto anche del comportamento tenuto da Varga dopo l’incidente: «Oltre a disinteressarsi della sofferenza delle famiglie delle giovani vittime ha tentato di addossare all’autista deceduto la responsabilità del tragico incidente, esponendo la famiglia di questi a pretese risarcitorie». Il pm Paolo Sachar aveva chiesto la condanna a 12 anni. E tale è la pena inflitta dal gup Gorra, cui si aggiunge il divieto, per sempre, di poter guidare in Italia oltre alla condanna al pagamento di un risarcimento che supera i quattro milioni e 290mila euro e delle spese legali.

[[(article) Strage bus ungherese, condannato autista]]

Pena dimezzata in appello

A fine ottobre 2021, davanti alla seconda sezione della Corte d’Appello di Venezia, va in scena il processo d’appello che si conclude per l'autista (restando inalterata l’entità dei risarcimenti) in una condanna dimezzata: sei anni di reclusione la pena inflitta.

L’autista è stato rintracciato nel settembre 2022 in Ungheria e arrestato su mandato di cattura internazionale emesso dalla Procura della Repubblica di Verona in attesa dell’estradizione in Italia dove sconterà, almeno inizialmente, la sua pena.

In corso il processo agli altri cinque imputati

Le prime luci dell'alba del 21 gennaio restituiscono le dimensioni della tragedia
Le prime luci dell'alba del 21 gennaio restituiscono le dimensioni della tragedia

Ancora sospeso, invece, il giudizio sugli altri cinque imputati (collaudatori, progettista e responsabile della vigilanza sulla sicurezza della tratta di autostrada), sotto processo da fine 2021, dopo che il Gup li ha rinviati a giudizio per «l’apparente fondatezza dell’accusa essendo a vario titolo addebitabile agli imputati l’inadeguatezza delle barriere stradali».

La conclusione amara della Procura

E «la strage di Verona», si scopre dalle carte della Procura veronese, avrebbe potuto avere un bilancio ben peggiore. Per fortuna il pullman era sulla strada di ritorno e il «serbatoio di scorta» alloggiato sul lato posteriore del bus per garantire il rifornimento di gasolio durante il lungo viaggio era già stato svuotato di oltre la metà.

Se quella «tanica viaggiante» fosse stata piena, scrive invece il responsabile delle indagini, «sarebbero morti tutti».

Il memoriale per il bus ungherese

Elisa Pasetto

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