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IL RITRATTO

Samu viveva per il pallone, il mister: «In campo aveva una luce negli occhi». Il prof: «Disumano morire così»

Il ricordo dell'allenatore e del professore del quindicenne morto in un incidente in monopattino
Samuele con i compagni di squadra durante un ritiro calcistico
Samuele con i compagni di squadra durante un ritiro calcistico
Samuele con i compagni di squadra durante un ritiro calcistico
Samuele con i compagni di squadra durante un ritiro calcistico

Samuele che corre a cambiarsi in spogliatoio, è il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene. Samuele che in campo non si ferma mai, sta sempre lì davanti, in attacco, perché vuole fare gol. Samuele che dribbla gli avversari, uno dopo l’altro, gli batte forte il cuore, non sente più nulla, vede solo la rete, tira forte e il pallone entra. Samuele che felice vola ad abbracciare i compagni di squadra, fanno mucchio, urlano ed esultano come i «grandi» professionisti.

Samuele, il quindicenne morto l'8 aprile in un tragico incidente con il monopattino, viveva per il calcio. La passione di tanti ragazzini per lui era qualcosa di grande, stringeva i denti, lottava come un leone, sempre. Sognava di diventare un campione. Non s’è perso un ritiro. Non è mancato ad una trasferta. E si trasformava, in campo perdeva la timidezza che a scuola tutti ricordano come la cifra distintiva del suo carattere.

L’insegnante

«Era riservato, era chiuso, osservava molto e parlava poco», racconta Giuseppe Felicia il suo professore di italiano all’istituto Giorgi, in città. «È una tragedia, è disumano morire così», si commuove, «il suo banco vuoto è un dolore tagliente, di quelli che tolgono tutto. A 16 anni non puoi andartene via in questo modo assurdo. E i compagni non possono accettare, sopraffatti dalla tragedia, la morte di un amico che fino a mercoledì scorso era seduto al suo banco, a ridere, a condividere timori e speranze. Non sarà facile per nessuno. Siamo tutti inebetiti, increduli, sconvolti».

Samuele era al primo anno dell’indirizzo di meccanica dell’istituto professionale della città, ripetente proprio perchè aveva la testa più sul pallone che sui libri. Quando è arrivata la bocciatura, lo scorso giugno è stato messo alle strette, si è ritirato dalla squadra il tempo necessario per rimettersi a posto con lo studio. Un anno di «pausa» finchè fosse maturato per fare bene tutte e due le cose. A settembre sarebbe tornato, se a scuola fosse andata bene dopo l’estate avrebbe potuto tornare in campo.

Con i compagni di squadra  Samuele è l’ultimo a destra, a tavola, durante un ritiro sportivo
Con i compagni di squadra Samuele è l’ultimo a destra, a tavola, durante un ritiro sportivo

Il mister

«A settembre invece non tornerà», sospira Marco Simionato, che l’ha allenato fino al giugno del 2022 nella Nuova Cometa, «poi io ho cambiato società e l’ho perso di vista. Ma era uno che non passava inosservato, e non tanto per il carattere esuberante che non aveva, ma per l’educazione, la correttezza, la voglia di fare e di lavorare per la squadra. Era un attaccante, nel calcio buttava fuori tutto quello che, fuori dal rettangolo, teneva chiuso dentro si sè. Era introverso, ma con i compagni era speciale. Ed era sensibile, come tutti i silenziosi».

Samuele come Nino, il calciatore della «Leva calcistica del ’68», la canzone di Francesco De Gregori che mette i brividi tanto sembra attuale: «...non aver paura di sbagliare un calcio di rigore/non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore/ un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia“.

Il ricordo del coach

«Anni fa eravamo in ritiro in montagna in Trentino», ricorda il coach, «giornate piene di energia, di cose da fare, clima amicale e di grande spensieratezza. Ho un’immagine chiarissima di Samuele: c’era un laghetto, non faceva certo caldo ma lui s’è buttato dentro. Poi l’hanno seguito anche gli altri della squadra. E ridevano, sembravano bambini che vanno per la prima volta al mare e non escono più, con le righe sulle dita e le labbra viola. Su e giù a fare tuffi e poi, tremolanti, di corsa in albergo ad asciugarsi, sperando di non essersi presi un accidenti».

Il pensiero torna lì: «Mettendo in fila gli anni in cui l’ho allenato», continua Simionato, «cercando di scavalcare il dolore che sto provando per trovare le parole giuste, posso solo dire che questo ragazzo aveva negli occhi una luce particolare quando metteva i piedi nelle scarpette chiodate. Io lo vedevo che nei contesti extra calcio era come fosse chiuso nel suo guscio, smessa la divisa e riposto il pallone tornava ad essere silenzioso, introverso, un po’ isolato. Il suo orgoglio era giocare e lì dava il meglio di sè. Era molto bene educato», sospira il mister, «e si sa che in questo sport, purtroppo, c’è chi gioca sporco, chi offende, chi si inventa qualsiasi cosa pur di arrivare, ma con Samuele non c’è mai stato uno sgarro, una sgomitata, un gesto violento».

Gli amici

Anche la mamma di un compagno di squadra ne parla con la voce rotta. Suo figlio non ce la fa a dire nulla. «Ma vuole che si sappia che Samu era un ragazzino come pochi, di una educazione che pochi hanno», si commuove, «veniva in casa per fare i compiti, preparavo la merenda ed era come avergli fatto chissà quale grande regalo. Parlava pochissimo, non si metteva certo a raccontare barzellette o a parlare a vanvera, era una presenza delicata, il classico “bravo“ amico che ti senti tranquilla ad avere per casa e, fuori, accanto a tuo figlio».

Il «Nino» di De Gregori «aveva 12 anni... ed il cuore pieno di paura di sbagliare il calcio di rigore». Forse anche Samuele, sabato sera, andando con il suo monopattino a casa dell’amico Lorenzo ad Oppeano, sentiva di fare una cosa proibita, una di quelle che i genitori vietano perchè pericolose. Stavolta, solo stavolta, non è riuscito ad andare in rete. Stavolta, in silenzio, ha perso lui. 

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Camilla Ferro

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