<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
IL PERSONALE NEGLI OSPEDALI

Cresce la fuga dei camici bianchi: due su dieci vogliono lasciare gli ospedali

Il dato emerge da uno studio condotto nel Veneto e dai sindacati «Nel 2022 nella regione sono stati appaltati all'esterno 42mila turni»

Se nel 2022 avevano calcolato che ogni giorno in Italia si licenziavano sette medici, quest'anno il dato è di quasi dieci. La disastrosa fotografia scattata a livello nazionale da Anaao Assomed (il sindacato dei camici bianchi ospedalieri) riguarda in generale anche il Veneto e nel dettaglio, con un lieve scostamento rispetto al dato aggregato, le due Aziende universitarie di Verona e Padova.


Scenario «Gli anni tremendi della pandemia hanno accentuato l’esodo», conferma il dottor Luca Barutta, segretario regionale dell’associazione, «e adesso ci troviamo di fronte ad un flusso in uscita inarrestabile. I numeri raccontano una realtà preoccupante: sempre a livello Paese, tra il 2019 e il 2021 sono stati 21mila i colleghi che hanno abbandonato gli ospedali». Il numero include 12.645 pensionati (compresi quelli anticipatari) ma soprattutto 8mila professionisti che hanno rinunciato per scelta alla corsia, e non solo nelle regioni del Sud come Calabria, Sicilia e Liguria, ma anche nel Lazio, in Lombardia e in Liguria. Per andare dove? «Nel privato», continua Barutta, «oppure all’estero dove si guadagna di più ed è più facile fare carriera, ma anche riciclandosi come gettonisti delle cooperative: si lavora 5 notti al mese e si guadagna praticamente come uno strutturato. Non hai le ferie e la malattia pagate, ma se ti organizzi riesci a far saltare fuori anche queste voci di spesa. E poi, vuoi mettere lo stress in meno e la qualità di vita in più?». Per capire: il medico a gettone (tradotto: a cottimo, a prestazione) è pagato 1.200 euro lordi a notte. Decide lui quante farne e quando. L’anno scorso in Veneto sono stati appaltati all’esterno 42mila turni (oltre 15mila nei Pronto Soccorso, quasi 10mila in Rianimazione, 3.800 in Ginecologia-ostetrica e 2.600 in Pediatria): operazione obbligata da parte dei manager aziendali per far fronte all’emorragia di organico.

 

Leggi anche
«Vita insostenibile. Così ho deciso di passare ai privati»


Sos fuga Sono numeri allarmanti quelli snocciolati da Anaoo- Assomed che un recente studio svolto dalla stessa regione Veneto - seppur con percentuali più basse - conferma. «L’indagine eseguita dai vertici della sanità a Venezia dice che ha manifestato la volontà di licenziarsi “al più presto“ il 18 per cento dei direttori di reparto e il 16 per cento di chi non ha responsabilità dirette. E’ un dato pesante, no?». Anaao è andata a studiare le cause della fuga. All'origine ci sono gli stipendi ritenuti tropo bassi rispetto a quelli offerti nel privato, lo stress causato dalla carenza di organico e dagli anni difficili del Covid, ma anche le frequenti aggressioni e le cause giudiziarie di chi ritiene di aver subito un danno in ospedale. «E’ il clima di generale esasperazione che porta alla scelta drastica», continua Barutta che sollecita quindi «le autorità regionali ed aziendali a modificare al più presto la politica del personale per poter superare le criticità».

 

Leggi anche
Lanzarin sull'emergenza medici: «Verona è tra le aree più in sofferenza»



Le soluzioni Il segretario veneto dell’Anaoo Assomed ha scritto una lettera aperta all’assessore alla sanità Lanzarin, invitando la politica a correre ai ripari in fretta. «Dal vostro studio è emerso in modo inequivocabile, in tutte le strutture sanitarie della regione, il peggioramento del clima aziendale percepito da tutti i profili professionali, con punte estremamente elevate in alcune aziende: il dato del 16% e del 18% di chi manifesta una fortissima volontà di lasciare l’azienda in cui lavora è sintomatico dell’alto grado di esasperazione percepito da una quota rilevante di dipendenti che non ha più remore a manifestarlo». Morale: «L’andamento generale è pessimo, si sta un po’ meglio nelle Università», conclude il sindacalista, «ma anche lì il burnout non risparmia i colleghi. A fronte dei 10 medici che ogni giorno si licenziano in Italia, chi resta non sta bene: la metà, sempre secondo i dati raccolti dalla nostra e da altre associazioni, racconta di soffrire di questa sindrome».

Il burnout Il 34 per cento dei medici internisti veneti (lavorano in reparti che da soli assorbono un quinto di tutti i ricoveri in Italia) riferisce infatti di soffrire di questa sindrome da stress da lavoro-correlato e ben il 47 per cento ammette di aver pensato di licenziarsi nell’ultimo anno. Il dato inquietante è reso pubblico dalla Fadoi (Federazione dei medici internisti ospedalieri) a cui va aggiunto il 63 per cento che afferma di essere «emotivamente sfinito», il 75 per cento di «lavorare troppo» e l’82 per cento di arrivare a fine giornata in una condizione di «pesante affaticamento». Il 47 per cento è «frustrato» dal proprio lavoro e il 50 per cento si dice «esaurito». Ecco quindi l’identikit medio, oggi, di tanti dipendenti della sanità pubblica: depressi, stressati e in perenne stato di stanchezza per orari di lavoro difficili da gestire, il tutto aggravato da mancanza di riconoscimento del valore di quanto fanno, da un numero di pazienti per ciascun specialista che rende quasi impossibile instaurare un rapporto empatico e da una burocrazia che ci mette il carico da 90. C’è tutto questo nel burn-out. «E’ una vera minaccia per la salute dei colleghi che ne soffrono», conclude Barutta, «ma anche per quella degli stessi assistiti visto che lavorare quando si è così stressati significa alzare le possibilità di commettere un errore». E in Italia, di questi errori ne succedono 100mila all’anno. . •.

Camilla Ferro

Suggerimenti