<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
LA STORIA

«Vita insostenibile. Così ho deciso di passare ai privati»

«Era una vita insostenibile». È così che un medico anestesista impiegato fino a un anno fa nell'ospedale di Borgo Trento definisce il suo passato lavorativo. Lo specialista, che preferisce rimanere anonimo, è uno dei tanti medici in fuga dagli ospedali pubblici italiani. Ogni giorno, a livello nazionale, dieci medici abbandonano il campo e si licenziano e quasi un medico veneto su due ammette che, nell'ultimo anno, ha seriamente pensato di cambiare vita.

«Ho lavorato come specializzando a Borgo Trento, poi sono stato in altre realtà, per ritornare alla fine di nuovo nell'azienda ospedaliera in piazzale Stefano. Qualche mese fa mi sono licenziato e ora lavoro in una clinica privata. Non faccio più le notti e posso finalmente avere relazioni sociali e vedere i miei figli». La descrizione dell'attività lavorativa precedente è a tinte forti, tanto che l'anestesista conferma che molti suoi colleghi, tra i 40 e i 50 anni, hanno fatto la sua stessa scelta.

 

Leggi anche
Cresce la fuga dei camici bianchi: due su dieci vogliono lasciare gli ospedali

 

«I turni del pomeriggio, dalle 14 alle 20, spesso finivano alle 22. Poi c'era la reperibilità notturna e si arrivava a fare anche 8 notti al mese. L'unica serata libera garantita era quella dello smonto notte, ossia successiva alla notte passata al lavoro, ma non rimanevano molte energie per scegliere di uscire con gli amici o mangiare una pizza in famiglia al ristorante. In altri ospedali in cui ho lavorato di notte si riusciva a riposare un po', mentre nell'ultima esperienza si stava sempre in piedi.

Le uniche risposte al nostro disagio erano di lavorare a gettone e avere qualche aumento ma il problema non era solo economico. Anzi, era prevalentemente fisico, di stress e logorio. Il personale è troppo poco e quindi gli strutturati come me sono ancora oggi sottoposti a un eccesso di reperibilità». Con la pandemia il carico di lavoro è esploso. I turni e le notti sono aumentati e con le tute addosso sono comparse cistiti e infezioni. «Non ci è stata data nessuna possibilità di prendere permessi nemmeno con i figli a casa ed entrambi i genitori che lavoravano. Non avevo problemi con i colleghi e il luogo di lavoro era adeguato. Era la quantità di lavoro più che la qualità a essere insostenibile». La busta paga dell'anestesista non è cambiata particolarmente, ma, afferma ancora il medico, «ora riesco a vivere dignitosamente e non a sopravvivere». «Molti colleghi hanno optato per la carriera di medici di base o le cure palliative a domicilio. C'erano anche medici anziani prossimi alla pensione che arrivavano a fare 7 notti al mese a scapito della loro stessa salute». Il dubbio, per l'anestesista, è che ci sia anche un turnover continuo perché i giovani costano meno. «Dopo i 5 anni di impiego si passa dai 2.800 ai 3.500 euro al mese e temo che vengano fatti anche questi calcoli, in qualche modo avallando il rischio del licenziamento. Ora gli specializzandi sono sempre più in balia di loro stessi, senza senior che li seguano in modo accurato. La loro presenza non dà sollievo agli strutturati perché non possono fare le notti né garantire la reperibilità da soli. Ho vissuto chiuso in sala operatoria arrivando a non sentirmi quasi più un essere umano. Dall'esterno credo sia difficile comprendere fino in fondo il disagio che stanno vivendo i medici, non si può credere che siano costretti a una vita tanto pesante». •.

Chiara Bazzanella

Suggerimenti