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Medici, la grande fuga dagli ospedali

«Io, specializzanda sfruttata: anche 48 ore di fila in chirurgia. E se sbaglio?»

Il racconto choc della giovane impegnata in chirurgia: «Dopo 12 ore di notte, continuo in reparto. Troppe volte in prima linea senza supporto»
Il racconto di una specializzanda impegnata in chirurgia
Il racconto di una specializzanda impegnata in chirurgia
Il racconto di una specializzanda impegnata in chirurgia
Il racconto di una specializzanda impegnata in chirurgia

E’ specializzanda in una delle tante chirurgie dell’Azienda ospedaliera universitaria di Verona. Per tutelarla, non facciamo il nome né suo né della branca in cui si sta formando. Il racconto rispecchia la pesante situazione in cui tanti giovani «camici grigi» si trovano in Italia.

«Ci sfruttano», dice, «sanno di farlo e sanno di poterselo permettere perché, soprattutto se stai studiando da chirurgo, non puoi permetterti di dire “no“, di far intendere che sei stanco dato che hai appena smontato dalla notte, perché ti fanno capire che “se vuoi imparare ad usare il bisturi, adesso devi fermarti e venire in sala operatoria“. E allora lo fai, perché dentro hai il fuoco sacro che ti ha spinto a scegliere questa meravigliosa professione, perché vuoi vedere, provare, capire, perché hai il timore che ogni rifiuto, per quanto legittimo, sia alla fine un boomerang che ti torna contro».

Il racconto della giovane dottoressa

La giovane dottoressa spiega che «per noi le ore di lavoro sarebbero 38 settimanali, sempre affiancati da uno strutturato, ma in realtà quelle le esauriamo in due giorni. In media io sono sulle 72 ore settimanali e a volte mi capitano anche 15 giorni filati senza riposo. Spesso copriamo le guardie di notte, cioè con orario 20-8, solo che spesso al mattino dopo non c’è quasi mai lo “smonto“, cioè non è ammesso andare a casa, perché in reparto c’è sempre da fare, perché i “vecchi“ ci caricano di incombenze, molte di carattere burocratico, per cui finisce che si riesce a staccare solo un paio di ore nel pomeriggio per poi rientrare subito in servizio per la seconda guardia senza aver riposato».

Il tutto per 1.200 euro al mese che arrivano a 1.400 dal terzo anno di specialità. «Al di là del tempo che viviamo in reparto che quando va bene è di 12 ore al giorno, quando va male sale anche a 48 ore di fila», continua la dottoressa, «è molto pesante il fatto di trovarci a prendere decisioni, rispetto ai pazienti, che non toccherebbero a noi. Le responsabilità di cui ci facciamo carico e che gli strutturati ci accollano», continua, «sono tante e pesanti. Tante volte mi chiedo, “e se sbaglio?“, “e se danneggio qualcuno?“, “ e se non sono capace?“. Non vendiamo scarpe, non ci occupiamo di cose o di oggetti ma della salute della gente. E tante volte, troppe, siamo in prima linea senza alcun supporto».

La notte è il momento più difficile. «Perché c’è sì lo strutturato in reparto, ma sta nel suo studio a dormire, oppure capita che sia reperibile a casa con l’obbligo di arrivare in caso di necessità. Ma noi sappiamo bene che non dobbiamo chiamare se non in caso di problemi gravi, è permesso solo se serve appunto la mano e l’esperienza di del chirurgo anziano, se c’è un problema serio».

E il futuro? «Non ci voglio pensare», conclude la specializzanda, «ho studiato tanto e ho investito moltissimo per essere arrivata fino a qui. La politica deve capire che deve correre ai ripari prima che sia troppo tardi. L’estero? Di questo passo, mai dire mai».

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Camilla Ferro

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