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l'odissea di chi deve prenotare

Sanità, anche due anni d'attesa per una visita: «Ci sono criticità, ma tante visite prescritte senza necessità»

di Camilla Ferro
Abbiamo raccolto le storie di chi non riesce a prenotare una visita specialista con il pubblico e la risposta dell'azienda ospedaliera

Anna si sente presa in giro. «La visita di controllo oculistico, doverosa dopo il mio intervento chirurgico», scrive, «è prenotata per marzo 2025». Come lei Marco: il suo cuore da indagare deve aspettare, nonostante l’impegnativa in classe D (priorità entro 30 giorni), fino a settembre del 2025. Stessa storia, anzi peggio, per Giovanni: «dopo lunghe attese al telefono ingannate facendo le parole crociate», la butta in ridere, «sono finalmente il numero 1 e, sorpresa, sul più bello parte la tiritera che “gli uffici sono chiusi, si prega di richiamare“. Un’ora e 11 minuti buttati via». Ma non si arrende («finiti i cruciverba più difficili di Bartezzaghi, passo al libretto dei sudoku»), riprova, e «udite udite, prendo la linea, una gentile signorina mi mette in attesa per verificare la disponibilità. Sì, c’è posto, vedi che ad insistere», pensa, «con un po’ di pazienza, alla fine il risultato arriva». Illuso. Perde il tono scherzoso e sbotta: «Settembre 2026, settembre 2026, capite? Ma perchè io dovrei continuare a pagare per un servizio sanitario pubblico inesistente? E perché, se pago ancora di più, i tre anni di attesa diventano 3 giorni?».

 

Dal drammatico all'esilarante

La storia più esilarante ce l’ha Francesco. Che parte bello carico: «E’ uno schifo. In febbraio ho prenotato online una colonscopia. Mi fissano la data il 19 aprile. Nei tre giorni precedenti provvedo, come prescritto, a seguire la dieta indicata: niente frutta e verdura, niente alimenti integrali contenenti fibre, niente legumi. La vigilia dell’esame studio la preparazione di Moviprep, psicologicamente mi preparo al devastante beverone e mentre studio le istruzioni mi cade l’occhio sul giorno indicato, venerdì». Francesco trasecola: «Ma il 19 aprile 2023 cade di mercoledì, verifico sul calendario, penso sia un errore, mi sale l’ansia ma subito mi si accende la lampadina, vuoi vedere che...». Esatto, la sua colonscopia è sì il 19 aprile ma del 2024, che è in effetti un venerdì. 
Francesco si imbufalisce. Ha peccato di ingenuità, ammette. «Per me era ovvio che, per un semplicissimo esame prenotato in febbraio, l’esecuzione potesse essere fatta due mesi dopo, in aprile», spiega, «tanto che, a riprova della mia buona fede, mi sono bevuto il disinfettante intestinale, che non è una passeggiata». Risultato? «Mi sono rivolto ad una struttura privata dove, al modico costo di 355 euro, ho fatto tutto. Notare che ho pure l’esenzione e che, quindi, nel pubblico non avrei pagato nulla, neanche il ticket». Pur nella delusione, non ha perso la buona educazione: «Sono un cittadino rispettoso delle istituzioni, anche se non funzionano, per cui, sempre online, ho disdetto la mia colonscopia del 2024, ricevendo qualche giorno dopo una email di risposta di accettazione della rinuncia».

 

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Morale: «Chi denuncia il mal funzionamento della sanità pubblica, anche nel nostro tanto lodato modello veneto, avrà sempre il mio appoggio. Potrei raccontare una sfilza di esami che, negli ultimi due anni, ho dovuto fare nel privato perché i tempi di attesa non rispondevano alla mia urgenza». L’elenco è lungo: ecoaddome, citologia urinaria, uretrocistoscopia flessibile, indagini cardiologiche. «Sono fortunato, fin qui è andato tutto bene ed è la cosa più importante», conclude, «quindi, mettiamola così: ho investito un bel po’ di denaro per controlli diagnostici che, anche se dovevano essere garantiti come Lea (livelli essenziali di assistenza), mi hanno in fretta rassicurato sul mio stato di salute». Come dire: chi quel denaro fatica a metterlo insieme, che fa? «Adesso ho in programma una visita di controllo alle anche», provoca Francesco, «dove pensate che la farò?».

Inutili giornate al telefono

C’è la denuncia di Marco: «Dopo 43 anni di contributi al Ssn, mi ritrovo che per una richiesta del medico di base a 60/90 giorni per eseguire un ecocolodoppler a Verona e provincia non c’è disponibilità. Ho perso 3 giorni al telefono, ho scritto mail, ho trovato solo porte chiuse. Mettendo mano al portafoglio in 4-5 giorni il posto c’è. E’ scandaloso. Ho scritto alle varie Urp ma resto impotente. Sono schifato da questo sistema che privilegia il privato. Uniamoci come cittadini per dire basta».
Anche l’esperienza di Carla è negativa. «Ad inizio anno dovevo fare un esame cardiologico. 
Mi attacco al telefono e dopo 40 minuti di attesa (altro che i tanto ventilati tempi medi inferiori al minuto annunciati in gennaio dall’Aoui con titoli sui giornali da presa in giro tipo “Ora cambia tutto, il Cup potenzia il servizio“) mi viene proposta una data: 5 giugno 2025. Era gennaio, ripeto, quindi avrei dovuto aspettare 2 anni e 4 mesi. Faccio presente all’operatrice che la mia prescrizione prevedeva la fascia “entro i 30 giorni“. Mi risponde che non c’è alcuna possibilità. Rinuncio». 
A distanza di un mese, ad inizio febbraio, Carla richiama al Cup chiedendo l’esame in libera professione. «Mi propongono il 14 febbraio, cioè dopo 9 giorni. Ticket: 170 euro». Si arrende e paga. «Che senso ha vantare efficienza, soprattutto da parte della nostra Regione, quando la realtà è così diversa, penosa, direi incivile, se bisogna aspettare più di due anni per un esame con scadenza immediata? L’articolo 32 della nostra Costituzione “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo“. Sì, vabbè...» 

 

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L'intervista al direttore generale dell'Azienda Ospedaliera Integrata di Verona Callisto Bravi

Ammette, il direttore generale dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, che «qualche problema c’è». Callisto Bravi apre le porte del suo ufficio per analizzare, caso per caso, le denunce raccolte dal nostro giornale sulle difficoltà che i veronesi incontrano nel prenotare un esame sanitario nelle strutture pubbliche e convenzionate del Veronese. «Parlo per la mia realtà», precisa (l’Ulss 9 Scaligera ha declinato l’invito al confronto), «quello che emerge è che la percezione dell’utenza contrasta fortemente con quanto, in realtà, noi da “dentro“ vediamo. Di sicuro l’aumento dell’offerta non sta soddisfacendo la domanda ma, per assurdo, la fa crescere sempre di più. Il vulnus, tra i vari altri motivi, sta nell’appropriatezza delle richieste».
Che significa? Che l’imbuto viene creato dalle vecchie ricette rosse: troppe e sbagliate?
Significa che serve una vera alleanza terapeutica tra cittadino e Ssn per utilizzare il sistema in maniera consapevole e per non sovraccaricarlo andando a causare quelle spiacevoli situazioni denunciate nella vostra indagine. Molta poca gente conosce la differenza, ad esempio, fra prestazioni di I e di II livello.
Tutto qua, il problema delle liste d’attesa?
Mi spiego meglio con un caso pratico: ho mal di schiena, non posso pretendere di fare subito una risonanza, si inizia con una lastra e poi da lì si sviluppa l’iter diagnostico più corretto. Si va in tilt e si va fuori dai tempi perché c’è tanta, troppa, richiesta non supportata da condizioni di partenza che la giustifichino. Per un mal di testa, per una macchia sulla pelle, al primo fastidio della vista o del polso indolenzito, scatta subito il ricorso ad esami importanti, occupando le grandi macchine che andrebbero invece tenute libere per altri tipi di verifiche.
E qui entrano in discussione i medici di famiglia: sono loro che fanno le richieste con tanto di scelta delle priorità.
Serve un salto, da parte di tutti gli attori, da sintetizzare così: si comincia dalla visita specialistica e non dalla Tac. Bisogna lavorare sull’over treatment. E, quando si prenota e poi si cambia idea, si deve cancellare l’appuntamento. Uno dei problemi che abbiamo sono, sembrerà strano, le mancate disdette.
Cos’è l’over treatment, dottor Bravi?
E’ quel meccanismo che inceppa le strutture senza migliorare il quadro epidemiologico e senza intercettare i veri bisogni di salute. Traduco anche qui: i cittadini chiedono prestazioni che sono inutili se non inserite in un percorso studiato. Contattano il “terzo medico“ che è Internet e si auto-convincono di aver diritto a fare qualsiasi indagine per quel doloretto alla pancia piuttosto che per il ronzio all’orecchio. Ripeto: produrre esami diagnostici non è la cura, la risonanza è tempo e risorse sprecate se non è inserita in una visione complessiva che spesso, poi, il medico di medicina generale non sa gestire.
Sta dicendo che i colleghi del territorio sono la causa principale della catena di s-montaggio del servizio sanitario nazionale? E’ colpa loro se servono anni per un esame cardiologico?
Ma no, non mi si fraintenda. Torno agli esempi, per farmi capire meglio: la medicina generale prescrive l’elettromiografia che però poi non sa leggere. E lì si innesca il valzer, la catena dell’over treatment. Per ottimizzare il tutto rimane fondamentale la collaborazione con il territorio: Aoui non è esclusivista per tante prestazioni dove invece subentrano le strutture dell’Ulss 9, per capirci. Noi siamo centro di riferimento per alte specialità e lì abbiamo le nostre prese in carico, che filano lisce e non hanno tempi di attesa. Solo in una mattina facciamo 100-120 elettrocardiogrammi pre-operatori per pazienti elettivi, a cui si aggiungono tutti quelli degli altri reparti. Anche le ecografie hanno una domanda interna alta. Quando dimettiamo i nostri assistiti hanno già le prenotazioni per diagnosi, terapie e controlli. Anche le ecografie hanno una domanda interna alta. Sopra alla nostra attività di eccellenza si aggiunge tutto quello che arriva da fuori e lì arrivano i problemi.
Resta il fatto che in Azienda ospedaliera, al di là delle concause da lei individuate, esistono delle criticità
Certo, nessuno lo nega: abbiamo difficoltà, al momento, in cardiologia, oculistica, dermatologia e ortopedia. In questi settori siamo fuori dalle classi di priorità per la prima visita. Non di molto, massimo 10-20 giorni. Ma è chiaro il perchè, ho provato a spiegarlo: siamo trauma-center, copriamo tutta la provincia e zone limitrofe, quindi Rm o Tac della colonna hanno tempi di attesa solo per l’utenza ordinaria. Idem in cardiologia, come per l’oculistica che non fa mai interventi di 5 minuti nè prime visite. Lo stesso per la dermatologia.
Poi però pagando quelle stesse prestazioni si fanno nel giro di qualche giorno.
I numeri sfatano questo luogo comune: nel 2022 abbiamo fatto 273.506 ore di prestazioni pubbliche, quelle con ricetta del medico di base; in libera professione, cioè a pagamento, sono state 28.071. Dirò di più: per alcune specialità la lista d’attesa in libera è più lunga, sui due mesi, che per quella con Ssn. Succede in neurochirurgia.
Ortopedia, tra le altre specialità, è sul podio degli appuntamenti a 1, 2 anni
Perchè Aoui è Trauma Center: arrivano da noi in elicottero 800 politraumatizzati all’anno; al giorno, in ambulanza, sono in media 3 ingressi. Gli incidenti quindi ci “intasano“ e a rimetterci è il femore dell’anziano, che salta, insieme all’intervento per il menisco. Quando c’è un trauma devo liberare sala operatoria, letto di ricovero, radiologia e questo mangia posti al Cup. Siamo Hub la nostra è una bottega sempre aperta vocata all’alta specialità. 
Quindi cosa si può fare, direttore, per i veronesi che continuano a non sentirsi tutelati nei loro bisogni di salute?
Il problema si attenuerà con le istituzioni delle Case della sanità, previste dal Dm ’77 del 2022. Ma tocca all’Ulss farle. Camilla Ferro

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