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Il gesto d'amore

Ha donato il rene al marito. «Il male passerà, ora torniamo dai nostri ragazzi»

Il gesto d'amore
Andrea e Sara si tengono la mano
Andrea e Sara si tengono la mano
Andrea e Sara si tengono la mano
Andrea e Sara si tengono la mano

Secondo piano, scala rosa del polo Confortini. Prima di entrare nel reparto dove ogni stanza è singola e fortemente protetta da agenti esterni, si indossano camici, calzari, cuffie e mascherine mono uso. E ci si disinfettano le mani. Qui dentro ci sono persone con le difese immunitarie inesistenti e qualsiasi batterio anche il più innocuo può diventare un enorme problema. Andrea Antolini è lì, nella sua stanza, la sacca per il drenaggio spunta dal pigiama, così come il catetere. È seduto su una sedia della sua stanza. E Sara Bertoncelli è lì con lui.

È andata a fargli visita come ogni giorno da quanto ha potuto alzarsi dal letto. Sono loro la materializzazione di un grande dono d’amore da moglie a marito. Lei ha donato il rene a lui, così come abbiamo raccontato ieri. Una malattia grave aveva compromesso la funzionalità renale di Andrea che aveva iniziato la dialisi, ma stava male, un’infezione dietro l’altra. Non funzionava la dialisi tradizionale, non funzionava quella peritoneale. E così, la decisione di Sara di donargli un suo rene, ma la più grande difficoltà sembrava davvero insormontabile: gruppi sanguigni non compatibili.

Non si sono arresi Sara ed Andrea, non si sono arresi i medici del Confortini. Ieri Sara teneva per mano il suo Andrea. Davvero una parte di lei, adesso vive in lui. «Prima di affrontare l’intervento e dopo aver effettuato tutte le analisi richieste ci siamo regalati un viaggio a Madrid, per rilassare la mente, ma il pensiero, a dire la verità era sempre lì. La preoccupazione che qualcosa potesse andare storto c’era. Ma era più forte la speranza che invece andasse tutto per il meglio».

Oltre al viaggio, Andrea e Sara si sono regalati anche un braccialetto, dopo l’intervento. La data del trapianto incisa sull’acciaio. La seconda nascita di Andrea. «Sto bene, starò meglio quando mi leveranno il catetere», dice Andrea, che dei due è certamente il più timido e non nasconde l’emozione per quello che sta vivendo. «Sara è stata peggio di me dopo l’intervento. Io non ho male, sto veramente bene».

«In effetti, quella più ammaccata sono io, dopo l’intervento sembravo morta e lui invece era un grillo», sorride Sara, «ma il male passerà, domani torno a casa dai miei ragazzi e aspetteremo che torni anche Andrea. Sono veramente grata a tutti i medici che hanno contribuito alla nostra rinascita e alla nostra felicità. Da sempre dicevo che se Andrea sta bene, sta bene tutta la nostra famiglia. Adesso abbiamo la convalescenza, ma siamo ancora tutti insieme nella nostra casa. Ho ricevuto tanti messaggi di solidarietà, per il gesto di amore che ho fatto. L’ho fatto con amore, un amore infinito. Andrea stava veramente male, non potevamo attendere i quattro anni di tempo che ci erano stati prospettati quando abbiamo iniziato la lista d’attesa. Sono felice. Siamo felici».

Sara abbraccia il dottor Boschiero e gli stampa un bacione sulla guancia. Sorride: «Glielo avevo promesso». Ed è in quel gesto che sta tutto l’affetto, la riconoscenza per questi medici. «Noi siamo degli artigiani, quelli bravi davvero sono i donatori», si schernisce Boschiero. Sembra un burbero, ma si emoziona. D’altra parte, uno che ha conservato per tutti questi anni la poltroncina su cui il professor Pietro Confortini, il pioniere dei trapianti amava sedersi per riposare un poco tra una sala operatoria e l’altra, non è di certo un uomo da cuore duro.

Alessandra Vaccari

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