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La storia della tetraplegica Alessandra

«Abbandonata e umiliata da un anno: rinuncio a bere per non dover fare la pipì. Meglio farla finita?»

La storia della tetraplegica Alessandra, che denuncia le carenze del servizio di assistenza domiciliare
Alessandra Fraccaroli
Alessandra Fraccaroli
Alessandra Fraccaroli
Alessandra Fraccaroli


Alessandra non ce la fa più. È stanca di combattere per avere ciò che è suo diritto. Ed è così arrabbiata da essere pronta a «fermarsi qui». Cioè? «Sarei il caso ideale per il suicidio assistito... Mi è stato detto che sono un peso e che non devo sentirmi in colpa per dipendere in tutto dagli altri. Devo solo adeguarmi, senza sussulti di dignità, senza lamentarmi». 

Le trema la voce, l’unica cosa del corpo che riesce a controllare insieme al cervello: «Sono violentata e devastata a livello psicologico, in balia delle tante operatrici sanitarie che mi manovrano, mi lavano, mi girano, mi tirano su dal letto, mi mettono giù e mi tengono attive le funzioni fisiologiche. Cambiano di continuo. Quando vengono. Perché è capitato anche che ultimamente non si presentasse nessuno».

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La storia di Alessandra Fraccaroli

Il racconto di Alessandra Fraccaroli, di Illasi, 39 anni e tetraplegica dal 1999 a causa di un incidente stradale, fa venire i brividi.

«Solo nell’ultimo anno, da quando mi segue una cooperativa attraverso un progetto sperimentale deciso a tavolino con l’Ulss 9, ho accolto in casa 8 diverse Oss. È mio diritto avere il Sad, il Servizio di Assistenza Domiciliare che la Scaligera da 23 anni mi garantisce attraverso appunto le varie coop, ma quello che è successo negli ultimi 12 mesi è un incubo. Una violenza che ho deciso di denunciare. Non pretendo empatia, ma il rispetto sì». 

 

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Alessandra lo spiega bene: «La mia assistenza è complessa perché strutturata su tre turni quotidiani con “faccende delicate“ che richiedono la presenza contemporanea di due persone, mia madre e appunto qualcuno della Sad. Per capire, cose come il cateterismo ad intermittenza e lo svuotamento meccanico delle viscere. Vista la delicatezza del compito, non posso essere sballottata da mani qualsiasi, cosa che da un anno è diventata la regola, ma ho bisogno di continuità e di sicurezze, soprattutto non posso saltare gli appuntamenti o farli ad orari diversi da quelli fissati perché ne va della mia vita».

 

La goccia che ha fatto traboccare il vaso

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è arrivata lunedì. Ma già prima era successo di tutto: «Dall’8 al 25 agosto non ho più avuto il servizio serale con tutte le manovre fisiologiche di cui sopra», sospira Alessandra, «e ad inizio settembre ho dovuto saltare la doccia per 11 giorni perché l’operatrice inviata dalla cooperativa non era formata per la procedura. Grazie alla mia famiglia, abbiamo tamponato».

E poi? «Arriviamo a questa settimana: lunedì mattina non sapevo se ci sarebbe stato o meno qualcuno per l’igiene personale, la vestizione, l’alzata dal letto,la fisioterapia, i fabbisogni vari. Idem martedì, il responsabile della coop mi ha comunicato che nessuna delle operatrici che mi assistono era disponibile per il turno serale e che avrebbe potuto mandarne una nuova - l’ennesima! - che non sa nulla delle mie necessità, per cui a questa nuova umiliazione mi sono rifiutata e come sempre ho chiesto aiuto ai miei fratelli, che hanno dovuto chiedere permessi al lavoro».

E confessa: «Io martedì non ho bevuto tutto il giorno per evitare di fare la pipì. Ma per quanto tempo può durare ancora questa sinfonia? Perchè l’assistenza domiciliare che sto ricevendo, parlo per me, non funziona? Sto male, questa situazione mi ha danneggiato profondamente creandomi stress e crisi continue con cui dovrò fare i conti finchè campo. Meglio finirla qua, forse?».

 

Camilla Ferro

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