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TESTIMONIANZE

«Voglio essere
libera di morire
Ecco come»

di Camilla Ferro
Alessandra al mare il mese scorso: «L’ho visto dopo 17 anni, mi sono messa a piangere dalla gioia»
Alessandra al mare il mese scorso: «L’ho visto dopo 17 anni, mi sono messa a piangere dalla gioia»
Alessandra al mare il mese scorso: «L’ho visto dopo 17 anni, mi sono messa a piangere dalla gioia»
Alessandra al mare il mese scorso: «L’ho visto dopo 17 anni, mi sono messa a piangere dalla gioia»

Ti chiude subito la bocca così: «È facile parlare e giudicare quando non si vive una condizione gravemente invalidante come la mia. Tutti bravi a pontificare e a fare i conti con i problemi degli altri, pochi quelli in grado di comprendere davvero cosa significhi stare così male da desiderare di morire».

Poi, ti sfotte pure: «Sono inchiodata sul mio “bolide“ da quasi 17 anni, tetraplegica e quindi con nessuna autonomia. Quando dico nessuna, intendo nessuna: non muovo nulla dalla testa in giù, funziona bene solo il cervello quindi parlo, penso, rifletto, mangio (se imboccata) e piango, sì, piango perché ho dolori forti da togliere il respiro e dopo ho bisogno di qualcuno che mi asciughi le lacrime. O che mi cacci via dal viso la mosca fastidiosa. Che mi vesta, mi lavi, mi trucchi, mi pettini. Sono una totale non auto-sufficiente. Ecco, qualcuno vuol provare a far cambio anche solo per un po’ e farsi un giretto sulla mia super-carrozzina? Qualcuno, prima di dire a chi sta come me o peggio di me, che può o non può invocare l’eutanasia, vuole provare a mettersi nei miei panni? ».

Alessandra Fraccaroli di Illasi, 31 anni, lesionata midollare da quando ne aveva 15 in seguito ad un incidente stradale, è stanca di assistere - ogni volta che si presentano casi di «dolce morte» come quelli di Eluana Englaro, Welby e ora del diciasettenne belga malato oncologico - al siparietto dei pro e dei contro, ai monologhi dei politici indaffarati a spiegare cosa è dignitoso e cosa no, ai moniti degli uomini di Chiesa «che fanno il loro mestiere e per forza tirano in ballo la morale». Crede, questa giovane veronese in prima linea tutti i giorni dal 1999 a fare i conti con quella che «non è più vita ma sopravvivenza», che esista un solo criterio valido con cui affrontare questa delicatissima faccenda: «lasciare libere le persone ammalate di andarsene, rispettare la loro scelta e fare di tutto, laddove ce ne fosse bisogno, perché venga concretizzata: che siano maggiorenni o minorenni, bisogna sempre anteporre al proprio egoismo, alle convenzioni, ai diktat religiosi, la volontà di chi ha scelto di essere lasciato andare perché si trova in una condizione esistenziale non più dignitosa e di insostenibile sofferenza per la quale non c’è altra soluzione se non la morte». E ancora: «Nel caso di bambini? Decidano i genitori perché chi meglio di loro, di fronte alle pene disumane delle loro creature, può scegliere di mettere fine a tanto inutile dolore? È la più grande forma d’amore, altroché chiacchiere...».

Alessandra lo ripete, con la sofferenza nascosta in un sorriso amaro: «Quando perderò anche l’unica facoltà rimastami - che è comunicare - voglio che mi si lasci andare via, voglio l’eutanasia perchè non posso soffrire più di quanto fino a qui sono stata in grado di sopportare».

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