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Invasi, quel piano fermo da decenni

Una soluzione contro la siccità Una delle vasche per la raccolta dell'acqua piovana per uso agricolo FOTO  MARCHIORIL’appello La Coldiretti chiede un piano nazionale per gli invasi
Una soluzione contro la siccità Una delle vasche per la raccolta dell'acqua piovana per uso agricolo FOTO MARCHIORIL’appello La Coldiretti chiede un piano nazionale per gli invasi
Una soluzione contro la siccità Una delle vasche per la raccolta dell'acqua piovana per uso agricolo FOTO  MARCHIORIL’appello La Coldiretti chiede un piano nazionale per gli invasi
Una soluzione contro la siccità Una delle vasche per la raccolta dell'acqua piovana per uso agricolo FOTO MARCHIORIL’appello La Coldiretti chiede un piano nazionale per gli invasi

Invasi per trattenere l’acqua quando ce n’è troppa e rilasciarla quando ce n’è troppo poca: l’idea diventa quest’anno maggiorenne, perché se ne cominciò a parlare dopo la torrida estate del 2003. Stavolta, però, non solo torna attuale perché è la siccità a rispolverarla come soluzione ma pure perché potrebbero esserci le risorse necessarie a realizzare ciò che col passar del tempo è stato in più occasioni abbandonato. «Di fronte a questa situazione l’Italia può attingere ai fondi del Pnrr che ha stanziato due miliardi di euro per la messa in sicurezza del territorio e per il trattenimento della risorsa acqua», esordisce Alex Vantini, presidente di Coldiretti a Verona, ritenendo «l’urgenza di avviare un grande piano nazionale per gli invasi che Coldiretti e Anbi, l’Associazione nazionale della bonifica, propongono da tempo». In effetti, secondo l’assessore regionale, Federico Caner, la Conferenza di domani tra Governo e Regioni, si occuperà anche del possibile utilizzo di fondi, del Pnrr e non solo, per creare infrastrutture per l’accumulo dell’acqua. «Ad esempio», precisa l’assessore regionale, «per l’impermeabilizzazione delle cave dismesse e la costruzione di strutture di canalizzazione delle acque; attività dai costi molto elevati, ma utili anche per prevenire inondazioni». Una sorta di Piano Marshall per contrastare la siccità che in Veneto e nel veronese potrebbe prendere le mosse da ciò che è ancora attuale degli studi di fattibilità che la Regione commissionò proprio ai Consorzi di bonifica nel 2006. Accanto a «misure immediate per garantire l’approvvigionamento alimentare della popolazione» serve «mettere in campo interventi che consentano di recuperare almeno il 50 per cento dell’acqua piovana: oggi raccogliamo solo l’11 per cento, senza contare l’altro problema, cioè reti obsolete che stimano nel 40 per cento la perdita d’acqua». Coldiretti ed il mondo della bonifica ne parlano da quasi vent’anni: era il 2009 quando il Piano irriguo nazionale mise sul trampolino di lancio il progetto della dorsale irrigua che, sfruttando cave dismesse e costruendo micro bacini, avrebbe risolto il problema lungo l’asse Montorio-Chiampo. Lo aveva approntato il Consorzio di bonifica Zerpano-Alpone, ma alla fine, a fronte dei 40 milioni di euro necessari e nonostante diversi appelli (anche uno scritto messo nelle mani dell’allora ministro Mario Catania, nel 2013) arrivarono 1,3 milioni, sufficienti (nel 2017) a garantire ad Illasi l’acqua di Lavagno. Non se ne seppe più nulla fino all’emergenza del 2017 quando l’allora direttore della Cantina di Monteforte Gaetano Tobin, prematuramente scomparso dieci mesi fa, propose che il costruendo invaso di Colombaretta, a Montecchia di Crosara, venisse strutturato non solo per laminare l’Alpone ma anche per trattenere acqua da usare a fini irrigui d’estate: l’ipotesi venne scartata sul nascere sia per ragioni tecniche che economiche anche perché terreni che erano stati lasciati in proprietà agli agricoltori, che in caso di allagamenti avrebbero incassato le previste indennità, in quel caso sarebbero dovuti essere espropriati. Vantini, però, non molla: «Una rete di piccoli invasi con basso impatto paesaggistico e diffusi sull’intero territorio nazionale, privilegiando il completamento e il recupero di strutture già presente, è cantierabile subito e serve sia a mettere in sicurezza il territorio dal punto di vista idraulico che per garantire l’approvvigionamento idrico senza contare la possibilità di produrre anche energia elettrica». Quanto sia prioritaria la questione Vantini lo traduce in una cifra: «Negli ultimi dieci anni il costo di emergenze sempre più ricorrenti è stato di oltre 10 miliardi di euro». Nel pratico il Consorzio di bonifica Alta pianura veneta (nato dall’accorpamento tra Zerpano e Riviera Berica) è già al lavoro: «Abbiamo un esempio col laghetto di Giavenale, nell’Alto vicentino, che è stato realizzato nel 2019 con un progetto europeo. Ha la duplice funzione, irrigua e di riduzione del rischio idraulico e rappresenta una risorsa idrica importante per tre aziende agricole», spiega il presidente Silvio Parise. Proprio a partire da questa esperienza il Consorzio ha avviato uno studio preliminare per censire nel proprio comprensorio aree adatte ad ospitare interventi strutturali simili. Era stato fatto lo stesso per i cosiddetti pozzi bevitori, cioè cilindri in calcestruzzo di due metri di diametro, profondi tra i cinque e i nove metri, in cui viene incamerata d’inverno da rogge e torrenti acqua che nella bella stagione viene rilasciata in falda, ma le diverse caratteristiche pedologiche tra vicentino ed Est veronese l’avevano reso improcedibile. •.

Paola Dalli Cani

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