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Bici e Monti

Vincent, a 4.000 metri sulla piramide del Monte Rosa

Vincent, la piramide del monte Rosa

Nelle giornate limpide si vede benissimo dal Baldo, ma anche dal Carega, con la sua corona di ghiacciai che brilla sull’orizzonte. E’ il monte Rosa, il gigante bianco che domina il paesaggio fra Piemonte, Val d’Aosta e Svizzera. Dopo un paio di stagioni ho deciso di tornarci con il mio collega Enrico per respirare di nuovo l’aria sottile dei Quattromila.

Non è facile trovare posto nei rifugi, la frequentazione è elevata ed è necessaria una prenotazione con un certo margine di anticipo, diciamo un mese circa. La grandinata del 24 luglio ci ha però costretto a modificare in parte i piani e quindi ci siamo dovuti limitare a una «tre giorni» invece dei canonici quattro per prepararsi e fare la salita.

 

Il mal di montagna

Sì, perchè sul Rosa la quota può giocare brutti scherzi, soprattutto se si usano gli impianti di risalita. Passare dalla pianura ai 3.200 metri di Indren in funivia per molti, come il sottoscritto, è un salto in alto che può causare mal di testa, nausea, vomito. Il mal di montagna può rovinare tutto. Da tempo io adotto una strategia diversa: in genere salgo prima una bella cima sui 3.000-3.500 metri (in Val d’Aosta c’è solo l’imbarazzo della scelta) e poi scendo a valle, quindi il giorno dopo risalgo a piedi verso la base di partenza (per il monte Rosa i rifugi Città di Mantova e Gnifetti) per ottenere un adeguato acclimatamento. Sia chiaro, si tratta di un’esperienza soggettiva, ciascuno valuta a seconda delle proprie capacità e condizioni fisiche. In ogni caso meglio non sopravvalutarsi.

Bene, quest’anno il mio allenamento era molto parziale e quindi non sono certo partito con il piede giusto. Il nostro obiettivo? La lunga cresta della Punta Parrot (4.436 m). Questa zona è ricca di cime non difficili da salire, a patto di avere conoscenze adeguate per la progressione in ambienti glaciali, attrezzatura e abbigliamento adeguati. Diversamente, è consigliabile affidarsi a una guida alpina.

 

Verso il rifugio Città di Mantova

Con Enrico siamo saliti al rifugio Gabiet in ovovia da Stafal (Gressoney), a 2.300 metri, e poi su a piedi verso il solitario passo di Zube (2.874 m), che si affaccia sulla Valsesia, e poi in cima al Corno Rosso, un facile Tremila, ottimo belvedere sul Rosa. Quindi giù di nuovo al Gabiet. Il giorno dopo il traguardo è collocato al rifugio Città di Mantova, passando per l’Alta Luce (Hochlicht, 3.185 m), una vetta poco pronunciata ma che offre una spettacolare vista sulla cascata di seracchi del ghiacciaio del Lys, e nel XIX secolo venne usata dai primi salitori per studiare le vie di accesso più sicure alla montagna.

Il sentiero per il rifugio è sempre ben tracciato (la tipica segnaletica gialla valdostana con frecce direzionali) e la deviazione per l’Hochlicht (facoltativa ma meritevole) si trova attorno ai 3.100 metri di quota. Dopo le foto di rito si torna al bivio, dove inizia il tratto più faticoso. Superati due nevai si sale piuttosto direttamente su placconate di roccia e grandi massi fino al tratto finale della cresta, che richiede un minimo di attenzione e che sbuca sulla terrazza del rifugio Città di Mantova, a 3.498 metri, dedicato a quattro alpinisti virgiliani morti sul Rosa nel 1978 (3.30 ore dal Gabiet). Il Mantova è da sempre un gran bel rifugio e con le modifiche apportate è a mio parere la miglior base di partenza, meglio della Capanna Gnifetti, che si trova più in alto, a 3.650 metri, ma dove spesso la quota si fa sentire.

Verso la piramide Vincent dal rifugio Mantova

Il giorno dopo solita levataccia alle 4, colazione e partenza alle 5 alla luce delle pile frontali per l’attacco del ghiacciaio del Garstelet, che si trova una cinquantina di metri di dislivello più in alto, dove sbuca la via attrezzata che sale dalla funivia di Indren (quella dei canaponi, per intenderci). Messi i ramponi e legati in cordata, inizia la faticosa ascesa, molto ripida nel primo tratto. Noi abbiamo trovato condizioni ideali, con temperatura sottozero alla partenza (meno 2°) e quindi ottimo rigelo notturno, neve dura e ponti sui crepacci sicuri (tranne uno).

Dopo l’insidioso falsopiano all’altezza della Capanna Gnifetti (da sempre molto crepacciato), si attacca il pendio sotto i seracchi della Piramide Vincent e con lunghi e ripidi tiri si superano i primi gradini del ghiacciaio. Noi abbiamo trovato una buona traccia, ma lassù basta che il tempo cambi in peggio per trovarsi nei guai. Lungo il nostro stesso percorso pochi giorni prima erano scomparsi nella bufera due alpinisti svizzeri diretti alla Capanna Margherita, probabilmente precipitati in qualche crepaccio.

Arrivato molto stanco sotto il Balmenhorn (4.167 m), con il suo Cristo delle Vette, a mezz’ora dal Colle del Lys, che dà accesso all’immensa conca ghiacciaia del Grenzgletscher, ho deciso di rinunciare alla Parrot, ancora troppo lontana, per salire sulla più vicina Piramide Vincent (4.226 m), cima di «consolazione» già fatta in passato ma pur sempre un bellissimo, imponente Quattromila.

La salita dal versante nord per il colle Vincent quest’anno si tiene molto a sinistra per la presenza di un crepaccio che si è aperto poco sotto la cima, e si sbuca quindi - con un ultimo tratto piuttosto ripido - direttamente sulla panoramica sommità, che è in pratica un largo crestone di neve che sprofonda verso la parete sud della Piramide.

Il Lyskamm Orientale (4.527 m) con la sua celebre cresta domina il paesaggio, che comprende una quantità industriale di cime valdostane. In primo piano Corno Nero (4.322 m), Ludwigshohe (4.344 m), la Punta Parrot (4.443 m), la Zumstein (4.562 m). In evidenza, come sempre, a sud il Gran Paradiso (4.061 m), quindi il monte Bianco (4.807 m) e il Grand Combin (4.314 m). Niente male. Dal Mantova alla Vincent meno di 2 ore e mezza.

La discesa avviene per la via di salita, prestando maggiore attenzione al passaggio sui ponti di neve che, scaldati dal sole, possono risultare più cedevoli. In condizioni normali non ci sono difficoltà tecniche. Per il rientro, si può scendere a piedi di nuovo al Gabiet, oppure optare per la funivia (costosa) che si raggiunge lungo la via attrezzata oppure utilizzando il sentiero basso (più facile), con attraversamento finale del malmesso ghiacciaio di Indren.

 

Claudio Mafrici

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