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ora la specie si è diffusa dai Lessini all’alto Veneto

Il futuro tra Gps e vigilanza elettronica. «E ora i fondi sono aumentati»

Un esemplare con il radiocollare
Un esemplare con il radiocollare
Un esemplare con il radiocollare
Un esemplare con il radiocollare

Era sembrata una favola romantica quella di Slavc e Giulietta, coppia di predatori che dieci anni fa hanno scelto come casa la Lessinia. Lupa italica lei. Esemplare balcanico lui che ha affrontato oltre mille chilometri tra Slovenia, Austria e Italia nord-orientale. Una lunga corsa, registrata da un radio collare monitorato dai ricercatori dell’Università di Lubiana, prima di fermarsi sulle montagne veronesi. Impresa a cui se n’è aggiunta un’altra, tuttora in evoluzione: aver ripopolato un territorio in cui i grandi carnivori erano assenti da tempo. La convivenza tra uomo e lupo si regge su delicati equilibri. Dai pascoli delle terre alte alla pianura, dove esemplari estremamente opportunisti hanno allargato la presenza in zone più antropizzate, proponendo nuove sfide agli esperti che tengono sotto osservazione il fenomeno. A fronte di una popolazione sempre più numerosa, come confermato dal recente monitoraggio nazionale dell’Ispra, risposte diverse, a partire però da alcuni punti fermi. La conservazione di una specie tutelata da una legge del 1992 e la prevenzione dalle problematiche che questo animale può causare. Recinti elettrificati fissi o mobili, dissuasori acustici, cani da guardiania; indennizzi laddove i sistemi di difesa non sono sufficientemente efficaci. Rappresentano i capitoli di una vicenda decennale che prosegue e descriviamo, allargando lo sguardo dal Veronese ad altre regioni.

In Veneto, il primo approccio coi grandi carnivori è avvenuto con gli orsi nel 2007. Esperienza che con l’insediamento dei lupi prima sui Lessini nel 2012 e dal 2016 tra altopiano di Asiago, monte Grappa e nel Bellunese ha richiesto un approccio più sistematico rispetto a quello iniziale.

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«Fino al 2018 grazie ai fondi dei progetti Life WolfAlps e Dinalp Bear», ricorda Sonia Calderola, referente per i grandi carnivori della Regione Veneto, «abbiamo acquistato 200 kit per la costruzione di recinzioni elettrificate, dati in comodato gratuito agli allevatori nei territori interessati». La presenza di tecnici formati ha assicurato consulenze sulle soluzioni più congeniali da adottare, a seconda dell’allevamento. Dal 2018 ad oggi, la Regione ha messo a bando risorse per fare in modo che gli allevatori possano acquistare direttamente i sistemi di prevenzione idonei alle proprie esigenze, ricevendo un contributo pari al 100 per cento della spesa ammissibile. «La misura 443 del Piano di sviluppo rurale, attivata per la prima volta nel 2019 e riproposta in seguito, ha previsto lo stanziamento annuale di 500mila euro per la prevenzione dei danni da grandi carnivori», spiega. «Intervento partito in sordina», precisa Calderola, «con 51 domande finanziate all’inizio, per 133mila euro erogati».

Nel biennio 2020-2021 la consapevolezza di questa opportunità è aumentata, con in media 120 domande presentate. «Siamo ancora sotto la disponibilità», fa notare, «e nella nuova programmazione c’è l’auspicio di poter fornire altri tipi di intervento oltre a finanziare l’acquisto di materiale». In parallelo, ci sono gli indennizzi a risarcimento del danno quantificato, diretto e indiretto, nella misura del 100 per cento. «Provvedimenti annuali ormai di routine», accenna, i cui valori tabellari per la determinazione dei danni sono stabiliti in accordo con l’Associazione regionale allevatori. Dallo scorso anno, evidenzia, «è stato introdotto un meccanismo premiante che riconosce una percentuale più alta di rimborso forfettario, nei casi previsti, a chi ha messo in atto sistemi di prevenzione».

Passa dalla prevenzione la via maestra che molte regioni percorrono. Anche con progetti sperimentali, come i radiocollari satellitari sui predatori per monitorare gli spostamenti e capire i comportamenti nei confronti di animali domestici al pascolo e di ungulati selvatici oggetto di attività venatoria. Ad usarli, dal 2019, è la Regione Veneto in collaborazione col dipartimento di Medicina veterinaria dell’Università di Sassari. «I dati dei collari Gps installati sui lupi aiutano a comprendere meglio come si muovono e anticiparne le mosse», scende nei dettagli Duccio Berzi, coordinatore del progetto la cui area di studio è concentrata sulle Prealpi venete. Dei sei radiocollari posizionati, ne sono attivi quattro. È dotata di collare, ma non rientra nella zona del progetto, la giovane lupa catturata a fine aprile ad Alpo di Villafranca e rilasciata sul Monte Baldo. La telemetria proattiva fornisce informazioni quasi in tempo reale non solo di tipo biologico, ma di carattere gestionale. «La prospettiva è sperimentare innovativi sistemi di allerta», auspica l’esperto: recinzioni virtuali costituite da sensori di prossimità per intervenire tempestivamente avvertendo dell’avvicinamento di un predatore e azionando appositi dissuasori. Dal collare di Slavc, molto è cambiato.

Marta Bicego

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