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L’esperto

Il geologo: «Il crollo sul Carega non deve sorprendere. È uno dei massicci a più elevato rischio frane»

Castellaccio: «Naturale fenomeno di erosione, ma i sentieri frequentati dai turisti vanno messi in sicurezza»
Il massiccio del Carega Il rifugio Fraccaroli, una delle mete classiche degli escursionisti
Il massiccio del Carega Il rifugio Fraccaroli, una delle mete classiche degli escursionisti
Il massiccio del Carega Il rifugio Fraccaroli, una delle mete classiche degli escursionisti
Il massiccio del Carega Il rifugio Fraccaroli, una delle mete classiche degli escursionisti

«Le pendici del Carega sono probabilmente il luogo geologicamente meno stabile della provincia. Quel crollo più di tanto non deve sorprendere, fa parte del naturale fenomeno di erosione di una montagna che già nell’Ottocento fu oggetto di più tentativi di stabilizzazione».

A parlare è Enrico Castellaccio, geologo, profondo conoscitore della delicata conformazione della roccia e dei terreni della montagna veronese. Commenta così la caduta del grosso masso staccatosi ieri mattina, 7 aprile, da una parete della montagna e rotolato sulla strada forestale a poche decine di metri dal rifugio Pertica, nel comune di Selva di Progno.

Per gli esperti, la quasi totalità del massiccio è a rischio frana

Le vallate ripide scoscese che offrono la via d’accesso alla sommità sono gole a carattere dolomitico scavate nel corso dei millenni direttamente nella dolomia dall’azione erosiva dell’acqua, della neve, del vento e di altri agenti atmosferici. «In buona sostanza siamo di fronte ad un fenomeno naturale di decompressione del versante, cui nulla di realmente efficace si può opporre», prosegue Castellaccio che individua nel rialzo delle temperature e nelle infiltrazioni d’acqua di scioglimento dei nevai una delle possibili cause del crollo.

Sentieri da mettere in sicurezza

«Nulla vieta però di mettere in sicurezza i sentieri frequentati d’estate da centinaia di escursionisti al giorno. Un tempo si faceva più manutenzione: i massi più pericolanti venivano staccati con una certa periodicità per evitare che potessero staccarsi e rovinare pericolosamente a valle. Alla fine dell’800 tutta la zona del Vaio di Revolto, dove l’affioramento della dolomia è quanto mai palese, è stata oggetto di una grande bonifica idro-forestale cui è seguita la piantumazione di migliaia di alberi di pino nero d’Austria, conifera che si è adattata bene quei suoli, stabilizzando per altro gli strati più superficiali di quei terreni».

Lessinia orientale più esposta al pericolo frane

Per Castellaccio sul Carega le rocce sono meno stratificate e molto fratturate e questo fa sì che la Lessinia orientale sia più esposta al pericolo di frane rispetto a quella occidentale.

«In realtà svariate decine di milioni di anni fa tutta la Lessinia era immersa in oceano primordiale pullulante di vita animale e vegetale, sui fondali del quale si sono depositati per milioni di anni centinaia di metri di sedimenti carbonatici dalla natura ben poco coerente» prosegue. «Sono sedimenti altamente friabili e soggetti ad un’attività franosa non indifferente, al pari di quanto va accadendo sulle Dolomiti. In più nel corso del quaternario il calcio ha lentamente preso il posto del magnesio rendendo la roccia ancora più instabile proprio sul versante sud del massiccio».

Il distacco franoso di ieri mattina è in buona compagnia. Nello scorso giugno dal Carega si era staccata una delle due storiche guglie de «L’omo e la dona», episodio che ha cambiato per sempre uno degli scorci più belli delle Piccole Dolomiti. Nell’aprile del 2021 si era sbriciolata la guglia del «Corno», e due mesi più tardi era collassata la Punta delle Losche.

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Alessandro Azzoni

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