Dieci famiglie, nove residenti nel Veronese e una nel Vicentino, hanno presentato ciascuna un esposto nelle rispettive Procure delle due città sulla questione Pfas. Si tratta di agricoltori, che per anni hanno utilizzato i pozzi inquinati per bere e per irrigare le loro culture ma anche di semplici cittadini che l'acqua contaminata l'hanno bevuta comunque e che adesso temono di aver riportato danni alla salute.
Studio 3A, ai quali si sono affidati, qualche mese fa ha scritto a Miteni, additata come responsabile principale dello sversamento delle sostanze perfluoroalchiliche nelle acque di falda di mezzo Veneto, chiedendo ai vertici della multinazionale di Trissino semplicemente un incontro per fugare i (tanti) dubbi e patemi d'animo dei propri assistiti. «Non ci hanno risposto», fanno sapere.
Nell'atto, corredato da un Cd-Rom, viene riportato il risultato del lavoro di analisi e ricerca degli esperti dello studio, che hanno acquisito e messo assieme, tra l'altro, i rapporti sullo stato dei luoghi dell'Arpav, decine di documenti dell'Istituto Superiore della Sanità e delle Ulss locali, le molte deliberazioni sulla problematica adottate dalla Regione Veneto, i biomonitoraggi effettuati su incarico regionale, le ordinanze dei Comuni.
Si chiede alla Procura di accertare se in questo inquinamento siano rinvenibili fattispecie penalmente rilevanti. E, se sì, «che si individuino i soggetti responsabili e si proceda nei loro confronti: un eventuale procedimento penale nel quale queste persone si sono già riservate di costituirsi parte civile». La magistratura una risposta l'ha già data: sono nove i manager della Miteni raggiunti da avviso di garanzia.