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Brentino e Ferrara di Monte Baldo

Ferito e salvato nel vajo dell’Orsa: sette ore in acqua per recuperarlo

Il racconto dell'intervento del Soccorso Alpino e speleologico per salvare un sessantenne veeronese calato lungo le cascate nella barella stagna
Barella «canyon» Una  calata lungo i salti di roccia ed acqua dell’Orsa FOTO CNSAS-CAi VERONA
Barella «canyon» Una calata lungo i salti di roccia ed acqua dell’Orsa FOTO CNSAS-CAi VERONA
Barella «canyon» Una  calata lungo i salti di roccia ed acqua dell’Orsa FOTO CNSAS-CAi VERONA
Barella «canyon» Una calata lungo i salti di roccia ed acqua dell’Orsa FOTO CNSAS-CAi VERONA

Sette ore. Tre per la ricerca, altrettante per calare l’uomo ferito, un veronese di 60 anni ora ricoverato in ospedale per fratture e contusioni, lungo tre cascate («salti») del Vajo dell’Orsa. Un’altra per trasportare la barella verso valle, dove attendono l’ambulanza ed i Vigili del Fuoco, intervenuti a supporto. I due compagni dell’infortunato vengono intanto evacuati grazie ad un sentiero di disimpegno, in parte attrezzato con infissi di sicurezza, via di fuga per uno dei percorsi di torrentismo più famosi e frequentati nel Veronese, tra le pendici del Baldo e la Valdadige.

L’operazione, avviata per una segnalazione di «mancato rientro» intorno alle 22,30, si conclude quando in quasi tutte le case suona la sveglia. Fine missione per la squadra di 11 specialisti (inclusi un medico e un’infermiera) del Corpo nazionale di Soccorso alpino e speleologico. Dopo un intervento che, sottolinea il capo della stazione veronese Alberto Corà, «rende evidente l’integrazione tra le diverse specialità che è ormai realtà da tempo». Ovvero tra chi opera di solito in quota ed i colleghi specializzati nelle emergenze sotterranee o in ambiente anfibio, le «forre». Dove il «forrista» fa la differenza.

L’allarme

La chiamata al «118» arriva alle 22,30. Un amico segnala la perdita di contatto con il gruppo, seguendo la regola d’oro secondo cui la destinazione d’avventura va sempre comunicata. Si muovono due squadre del Cnsas scaligero, equamente spartite tra componente «alpina» e «speleo», alcuni di questi ultimi appena rientrati dopo il rocambolesco salvataggio di Ottavia Piana, bloccata per ore a 150 metri di profondità nella grotta «Bueno Fonteno» nel Bergamasco.

Due cellulari suonano a vuoto e vengono ritrovati dai Carabinieri nell’auto lasciata nel parcheggio. Il terzo risulta comunque irraggiungibile, per mancanza di copertura sul fondo del vajo. Gli operatori di dividono: alcuni scendono da Ferrara di Monte Baldo lungo il sentiero verso malga Orsa, sulla sinistra orografica. Altri salgono da valle verso monte.

L’intervento

Il primo contatto vocale permette di individuare il gruppo in difficoltà quasi al centro del canyon. Entra in azione la componente «forristica», che si cala nell’imbuto di roccia. I tre sono fuori dall’acqua ma il ferito, con traumi alla gamba, al polso e al capo, presenta segni di ipotermia.

Mentre i due amici vengono messi in salvo da lungo il sentiero «di fuga» viene deciso di trasportare il ferito, riscaldato, medicato e poi chiuso in una speciale barella stagna, lungo il corso e fino alla fine del vajo: è la via più veloce e sicura. Tra le 2 e le 5 della notte (è quasi l’alba all’esterno) vengono attrezzate e discese otto calate con corda, lungo le cascate. Medico ed infermiera seguono, controllando le condizioni del paziente. Intorno alle sei la squadra che assicura il ponte radio sulla piazzola per elisoccorso a Malga Orsa, riceve la comunicazione di uscita dalla forra.

Resta un’altra ora di trasporto, a spalle, verso l’ambulanza in attesa. Lieto fine. «Il torrentismo, l’esplorazione “in forra“, è ormai una disciplina autonoma, diversa dall’attività in grotta e dall’alpinismo, anche se con ovvi punti in comune», spiega Damiano Federti, vice delegato del Soccorso speleologico del Veneto. Che conta a Verona 29 tecnici specializzati, alla pari con la parte «montana». «Una città fortunata», sorride. «Non è facile trovare tante risorse in una singola realtà. E soprattutto», precisa, «averle addestrate e integrate, al meglio».

Paolo Mozzo

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