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L'intervista ad Alessandro Anderloni

«È la profanazione della montagna. Il Cai inviti i suoi soci a disertare quei rifugi»

Il regista e autore della Lessinia interviene sul party delle polemiche ospitato dal rifugio Chierego
A destra, Alessandro Anderloni
A destra, Alessandro Anderloni
A destra, Alessandro Anderloni
A destra, Alessandro Anderloni

«È la profanazione della montagna», tuona il regista e autore Alessandro Anderloni. «E gli uomini ne temano la sacra vendetta». La risposta alla domanda, se sia davvero questa la montagna, ha il tono di un anatema. Fa eco, da Velo al Monte Baldo, alle polemiche innescate dal «party in quota» al rifugio Chierego. In centinaia a ballare, musica a tutto volume. Caso che ha smosso il mondo dell’escursionismo del Club alpino italiano, di associazioni ambientaliste e non, della politica. «Il Cai inviti i suoi soci, e sono tanti e sono quelli che camminano, a non mettere più piede nei rifugi che organizzano queste baldorie», rincara la dose Anderloni che le terre alte le vive, conosce, frequenta.


Questo non è un episodio isolato. È segno evidente di una montagna che da tempo sta cambiando, e non solo per i cambiamenti climatici. Sta cambiando, verso quale direzione?
«Ci accorgiamo oggi di ciò che sulle tanto decantate Dolomiti, che così spesso prendiamo a esempio per tutto, è un’abitudine. Ricordo il giorno in cui sulla cima di Plan De Corones, di fronte a una torma di ubriachi che urlavano, con la musica sparata a tutto volume, decisi, dopo vent’anni di passione per lo sci, di finirla lì. Da allora non sono più salito su una seggiovia. Abbiamo riempito e continuiamo a riempire le montagne di ferraglie, tralicci, croci, tubature, cannoni, invasi artificiali, impalcature con perfino i cerchi olimpici. Ora basta. Lasciamole in pace».

 

Discoteca al Chierego


Per uno dei gestori del rifugio, Alberto Bullio, si è trattato di un evento per far conoscere il territorio, in particolare ai giovani. Serve questo per avvicinare le nuove generazioni?
«La montagna la si conosce camminando e, arrivati sulla cima o sostando in una radura, sedendosi sull’erba, mangiando quel che contiene il cartoccio portato da casa, guardando l’orizzonte e consolandoci con un tramonto. Ci sono migliaia di bambini e giovani che camminano, con famiglie, guide, associazioni, scuole, parrocchie. Chi organizza discoteche a duemila metri non è un benefattore del "territorio" ma del proprio registratore di cassa. Con la compiacenza degli uffici delle comunità montane che qualche anno fa, in occasione di un concerto in alta quota, per la "valutazione di impatto ambientale", mi chiesero di dichiarare i decibel emessi da un violoncello suonato in acustico sul prato».
Per anni ha organizzato un festival nei luoghi più suggestivi del Parco naturale della Lessinia. A un concerto tra tanti, quello di Eugenio Finardi a Malga Podestaria, parteciparono 3.500 spettatori. Era il 2012. Cosa era diverso?
«Nel 2012, con un accordo tra Comune di Bosco Chiesanuova e Parco della Lessinia, le carrarecce dell’alta Lessinia vennero chiuse al traffico e si invitarono tutti a salire a piedi, predisponendo un bus navetta per le persone con difficoltà motorie. Amplificammo il concerto con il minimo indispensabile, due casse acustiche per poco più di un’ora, e Finardi esortò gli spettatori ad ascoltare il rumore del vento e dei campanacci delle mucche che accompagnavano le sue canzoni. Non restò nemmeno una carta di caramella sul pascolo. Nessuno si ubriacò. Tornammo a valle tutti a piedi, nel silenzio della sera. Fu la dimostrazione di come si può vivere la musica in montagna. Anni dopo il Parco della Lessinia decise di chiudere il festival "Voci e luci in Lessinia". Fu un errore».

 

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Dunque, eventi e terre alte possono convivere. In che modo? Cos’è utile per promuoverle, per far sì che siano vissute con la lentezza e il rispetto che richiedono?
«In montagna si salga a piedi, con le ciaspole, con gli sci, a cavallo, con qualche bicicletta, magari non elettrica. Si lascino le seggiovie e le cabinovie esistenti per le persone con disabilità, anziani, ammalati. I rifugi siano rifugi, non resort o ristoranti gourmet, con le porte aperte ai camminanti, un materasso su cui riposare, la fiamma di una candela. Ma va bene anche una lampada led alimentata da un panello solare, per stare insieme e giocare una partita a carte. Si vada in montagna con semplicità e candore e la montagna continuerà a esserci amica». 

Marta Bicego

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