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San Giovanni Ilarione

Era riuscito ad estrarre Avjeet dall'auto in fiamme: «Cerco gli altri che mi hanno aiutato»

L'appello di una delle persone intervenute il 13 febbraio: «Temevo ci fossero le mie figlie»
L'auto caduta nella scarpata ieri sera a Montecchia e la giovane vittima, il 31enne Avjeet Singh (foto Dalli Cani)
L'auto caduta nella scarpata ieri sera a Montecchia e la giovane vittima, il 31enne Avjeet Singh (foto Dalli Cani)
L'auto caduta nella scarpata ieri sera a Montecchia e la giovane vittima, il 31enne Avjeet Singh (foto Dalli Cani)
L'auto caduta nella scarpata ieri sera a Montecchia e la giovane vittima, il 31enne Avjeet Singh (foto Dalli Cani)

Un disperato tentativo di salvataggio a quattro: è accaduto la notte di martedì grasso, qualche istante dopo il tremendo scontro avvenuto a San Giovanni Ilarione sulla provinciale 17 all’altezza della cava Laurì, incidente nel quale perse la vita Avjeet Singh.
Nulla poterono i sanitari per salvare l’operaio trentunenne residente in paese. A causa dell’incidente anche una ragazza finì in ospedale.

L'appello agli altri soccorritori

All’arrivo dei soccorsi il giovane era stato trovato più di venti metri a monte rispetto al fossato in cui era precipitata la sua Volkswagen Lupo prendendo fuoco. Il motivo è svelato. Gianni Gazzo, un cinquantenne che a distanza di tre auto da quelle che si erano scontrate stava scendendo verso sud, era intervenuto subito per scongiurare il peggio. «Era l’ultimo di carnevale», racconta oggi, «stavo andando a recuperare le mie due figlie dopo la festa di Montecchia. Ho pensato subito che a bordo ci fossero quattro ragazzi che tornavano dal carnevale: quattro, come i miei figli». 

Su quell’auto il ragazzo di origini indiane in realtà viaggiava da solo. «A pensarci a posteriori mi chiedo come avremmo potuto fare se ci fossero state anche altre persone. Ci abbiamo provato con tutte le nostre forze a metterlo in salvo», spiega, «e il merito è di tre giovanissimi ragazzi, uno dei quali straniero, che non ho più visto e che vorrei incontrare. Sono stati un esempio, vanno ringraziati», dice l’uomo. Aggiunge: «Vorrei abbracciarli, perché quella notte ognuno di noi ha deciso di dare una possibilità a quel ragazzo intrappolato». Gazzo ci pensa continuamente e chi sa qualcosa, o gli interessati stessi, possono contattarlo scrivendogli a gazzogianni@gmail.com

Il racconto del tentativo di salvataggio

Il 50enne abita a San Giovanni Ilarione, lavora proprio alla cava e qualche giorno dopo i fatti, disponibile a dare la sua testimonianza, aveva chiesto di informarne la famiglia di Avjeet. I familiari, commossi per quel gesto di altruismo, han fatto sapere di volerlo incontrare al ritorno dall’India, dove proprio in questi giorni porteranno le ceneri del ragazzo.

Quella sera poco dopo le 19 Gianni Gazzo stava scendendo a Montecchia per recuperare le figlie quattordicenni dopo il carnevale. «Alla curva prima della cava», ripercorre quei minuti tremendi, «vedo un grande fumo bianco e un attimo dopo le due auto che mi precedono accendere le quattro frecce. Capisco che c’è stato un incidente e penso subito a ragazzi che tornano da qualche festa, ai miei figli. Fermo la macchina: qualcuno sta parlando con la ragazza che sta sulla Lancia Ypsilon, messa di traverso sulla strada, ma un istante dopo vedo alzarsi delle fiamme dal fosso a lato strada. Capisco che l’altra auto è lì».

Prosegue: «Accendo la torcia del telefono e provo a scendere nel fosso». L’auto è su un fianco, cofano a valle e lato guida contro la sponda del fosso. «Dicono che l’auto è a Gpl, capisco di avere i minuti contati: con una botta violenta riesco ad aprire la portiera lato passeggero ma l’abitacolo è invaso dal fumo, non vedo nulla. Poi scorgo una persona raggomitolata ai piedi del lato guida, intrappolata tra la portiera e il tettuccio sfondati. È un ragazzo, è molto alto: ha la testa rotta, sembra guardarmi anche se degli occhi vedo solo il bianco. Mi accorgo che non indossa la cintura e capisco che posso provarci». «Come ho fatto non lo so», aggiunge, «ma riesco ad estrarlo, intanto si precipitano prima due ragazzi che stavano sulla strada e poi un terzo». 

Sicurezza, primo soccorso, alta e altissima quota: Gazzo ha fatto corsi su corsi in cava e sa come muoversi. «Sorreggendolo in quattro, muoviamo i primi passi lontano dall’auto: ne facciamo forse una decina e il rogo divampa, fa scoppiare gli pneumatici. Io continuo a dire dai che ce la facciamo: attraversiamo il filare di ciliegi e lo adagiamo in un piccolo spiazzo sicuro. Avjeet respira a fatica: gli reclino lentamente la testa, estraggo la lingua. Uno dei ragazzi si sfila il giaccone, lo adagia su Avjeet e si allontana». In tre vegliano sul ferito, poi arrivano i soccorritori. «Quando chiamo le mie figlie piango», conclude Gazzo.

Paola Dalli Cani

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