<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
antimafia

«A Verona il braccio armato della cosca»: aggressione anche al sindacalista Stizzoli

Uso di armi e di violenza per “intimorire” gli avversari sono elementi che accomunano diversi episodi rientrati nella nuova inchiesta della Procura distrettuale antimafia di Venezia
Le indagini sulla locale di ’Ndrangheta veronese proseguono da quasi 15 anni e hanno dimostrato legami con potenti cosche e diversi atti intimidatori oltre alle rapine milionarie
Le indagini sulla locale di ’Ndrangheta veronese proseguono da quasi 15 anni e hanno dimostrato legami con potenti cosche e diversi atti intimidatori oltre alle rapine milionarie
Le indagini sulla locale di ’Ndrangheta veronese proseguono da quasi 15 anni e hanno dimostrato legami con potenti cosche e diversi atti intimidatori oltre alle rapine milionarie
Le indagini sulla locale di ’Ndrangheta veronese proseguono da quasi 15 anni e hanno dimostrato legami con potenti cosche e diversi atti intimidatori oltre alle rapine milionarie

 Radicata e con buoni rapporti, in grado di «gestire» le criticità in caso di bisogno. Così se l’inchiesta «Isola Scaligera» aveva fatto emergere il lato commerciale di una “locale” di ’Ndrangheta stanziale nel Veronese e che vedeva in Antonio «Totareddu» Giardino uomo di fiducia e di collegamento con la cosca Arena-Nicoscia, la nuova inchiesta coordinata dai pm Lucia D’Alessandro e Stefano Buccini della Procura distrettuale antimafia di Venezia, evidenzia il ramo «operativo».

Quello in cui entrano minacce, uso di armi e violenza utilizzata per intimorire gli «avversari». E nell’atto di fine indagine emergono gli episodi: gli spari contro l’abitazione del giornalista Ario Gervasutti «commissionati» da Alberto Filippi, imprenditore vicentino ed ex parlamentare della Lega, quelli contro l’abitazione di un imprenditore veronese e nell’ottobre 2015 l’aggressione a Gianmassimo Stizzoli, sindacalista della Filaia-Cisal per la sua attività contro la Vierrecoop di Alberto Frinzi.

La connessione con «Isola»

Sono 43 gli indagati di questa tranche d’inchiesta, molti sono già comparsi in Isola Scaligera, per gli altri, soprattutto coloro che sono ritenuti promotori e organizzatori, i pm veneziani hanno fatto emergere il collegamento con la famiglia Giardino, non solo Totareddu, e, di nuovo, Domenico e Santino Mercurio. Rosario Capicchiano, crotonese classe 1975, e Alfonso Giardino, detto «Gaccia», crotonese classe 1972, sono ritenuti gli organizzatori delle varie azioni attuate nel pieno rispetto dei ruoli gli uni degli altri. Loro, per la Procura, assumevano le decisioni più rilevanti «impartendo le disposizioni necessarie a garantire l’operatività del gruppo».

Autonomia decisionale ma «capofamiglia» era la cosca di Isola di Capo Rizzuto. Entrambi in stretti rapporti con Totareddu (condannato a 30 anni in primo grado dal tribunale di Verona, ndr) che veniva costantemente informato sulle attività e proprio «Gaccia» mette a disposizione il proprio fondo al confine tra Verona e Castel d’Azzano per la «caprata», necessaria per dirimere una controversia per un furto di agnelli.

L’associazione mafiosa

L’associazione a delinquere di stampo mafioso viene contestata a 25 persone, tra i nomi rispuntano quelli del figlio di Totareddu, di Domenico Mercurio e Nicola Toffanin (collaboratori di giustizia). Un intreccio con l’altra indagine (terminata con la condanna, in primo grado, a oltre 150 anni di reclusione) nella quale però la famiglia Giardino, il cosiddetto «gruppo di Sona» (Alfonso detto Frosineddu, Antonio detto il Marocchino, Alfredo Antonio detto il Papaniciaro) riveste un ruolo di primo piano tra i partecipi, ritenuti responsabili di estorsioni e rapine.

E a riprova della mutua assistenza, per l’accusa, riuscirono a sottrarsi, nel 2015, all’esecuzione di un’ordinanza di custodia emessa dal gip di Verona. Dalle armi alle rapine Atti intimidatori ma non solo: si va dalla detenzione di armi (un sequestro a San Martino Buon Albergo nel 2020), munizioni e pistole con matricola abrasa, alla vendita, nel 2006, una Pipe Bomb con innesco e telecomando, ordigno che venne poi disinnescato.

Ancora, le minacce ai gestori di sale giochi per «inibire» la concorrenza: utilizzando un kalashnikov, nel 2008, rapinarono il titolare del River Club e nel 2015 invece, per evitare l’apertura di un nuovo club lo bruciarono. Poi le rapine milionarie, per finanziare le altre attività, messe a segno in febbraio e in maggio 2013 in due filiali della Cassa di Risparmio di Prato. In entrambi i casi chiusero il personale nel seminterrato. Per i pm un gruppo «operativo» organizzato.

Fabiana Marcolini

Suggerimenti