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Il reportage

Stazione, una linea sottile divide la sicurezza dalla violenza

La polizia in piazzale XXV Aprile (foto Marchiori)
La polizia in piazzale XXV Aprile (foto Marchiori)
La polizia in piazzale XXV Aprile (foto Marchiori)
La polizia in piazzale XXV Aprile (foto Marchiori)

 

C’è una linea bianca. È disegnata in mattonelle, all’uscita della stazione di Porta Nuova. All’interno vive «uno scalo ferroviario tra i più tranquilli d’Italia», giura un (anonimo per obbligo) addetto di vigilanza privata. «Se hai dubbi», aggiunge strizzando l’occhio, «fai un giro a Bolzano, passa nel giardino di fronte ai binari, poi mi dirai...». All’esterno c’è piazzale XXV Aprile, all’indomani di un accoltellamento, ultimo di una serie di episodi, che include risse, furti e aggressioni. Non è il paradiso né l’inferno. «Le stazioni sono così, ovunque nel mondo», osserva con filosofia Giorgio Gallo, della Cooperativa Radiotaxi. «Qui siamo in una realtà ben presidiata», conferma. «Certo, soprattutto il sabato sera, di balordi in giro se ne vedono». La differenza sta al di qua e al di là della linea bianca.

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Territori Come sempre è una questione di punti di vista. «Sicurezza? Siamo sotto lo zero. Io ho dovuto piegarmi alla bomboletta di spray al peperoncino da tenere nella borsa», ribatte Marianna Fava, barista alle prese con tazzine e tranci di pizza in uno dei punti di ristoro interni. «Il marciapiede B1 la notte è un problema, tra liti e bottiglie rotte. Qui si chiude intorno alle 22 - 23 ma l’attesa del bus, è spesso lunga... Tra noi ragazze facciamo gruppo in uscita».
«Va a giorni. ormai conosciamo i visi, sappiamo come gestire la situazione. In fondo sono sempre i soliti, un miscuglio di italiani e stranieri, con prevalenza dei secondi», ammettono Monica e Luciano, un paio di decenni di gestione di un chiosco sulla direttrice che arriva da Corso Porta Nuova. «Rispetto al passato le cose vanno molto meglio, forse anche perché i controlli, rispetto al passato, sono aumentati». Il resto lo fa l’esperienza, quando si tratta di dirottare verso altro bancone l’alticcio di turno. Piazzale XXV Aprile, fino al calare del buio, fa la sua figura. E pazienza se qualcuno usa le adiacenze dei Bastioni come bagno privato e la rastrelliera delle bici posteggiate è divisa da un’altra «linea» invisibile: pressoché intatte quelle dello «sharing», cannibalizzate tutte le altre vicine.

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Gesti A volte basta accendersi una sigaretta. L’omone che viene incontro, pesante accento dell’Est, camicione a fiori e aspetto decisamente «casual», sollecita una fumata omaggio. Ci mancherebbe, ecco la Camel. «Buona domenica», saluta con un sorriso ed un gesto di pace. Ci sono codici che sfuggono, di qua e la di là della linea bianca, nella terra di mezzo.
«La stazione di certo non è un problema, la sorveglianza da parte delle forze dell’ordine c’è», premette Roberto Forini, titolare della tabaccheria all’interno dello scalo. Le cosiddette«baby gang» battono altre strade. «Il guaio è semmai legato ad episodi, a culture diverse». Il riferimento è alla galassia nordafricana. Una parte di essa, perlomeno. E si tocca così un argomento scottante, non politicamente corretto ma reale. «Capitano piccoli furti e alle mie commesse ho detto di lasciare correre, perché il rischio non “vale la candela“. C’è talvolta una chiara mancanza di rispetto verso le donne, fatta di parole ed epiteti... Non ci spetta di giudicare, siamo in una stazione e come ovunque nel mondo vi passano sbandati, gente che cerca di confondersi nella folla», precisa con oggettività. Daniela, una delle sue dipendenti, conferma: «Ci sentiamo relativamente sicure, chiudiamo alle 19 ma certo, se si dovesse lavorare la notte...».

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Nodi Gianluca Marani, addetto all’edicola nell’atrio principale offre una lettura simile: «La sorveglianza c’è ma resta pur sempre un “buco“», osserva. «Il Covid ha stravolto un po’ tutto, in quei mesi si vedevano quasi solo militari e forze dell’ordine. Ora talvolta, all’esterno, ti senti quasi “straniero“». E riecco il problema oggettivo e «scorretto». «Tutto come al solito», ribatte Ahmed, algerino, muratore in pausa festiva, con un passato di cameriere in Francia. Sta in attesa del bus. «I guai li fanno alcuni ma a pagare siamo noi tutti e l’onore del nostro Paese». Sferra un «coltellata» verbale ma sorride: «Come vi sentite voi italiani quando all’estero vi guardano e dicono “Mafia?“». Sociologia spicciola a parte, basta guardarsi in faccia per capire come dal guazzabuglio, tra populismi e realtà, sia un bel guaio uscire.
Linea Davide Manini è un operatore della Croce Verde, in servizio al «punto tamponi» di piazzale XXV Aprile. «Ho visto i lampeggianti e sono uscito a vedere», racconta riferendosi al ferimento di sabato. «Rispetto a quando frequentavo la stazione ai tempi dell’università le cose sono migliorate: c’è illuminazione, passaggio di polizia, molti agenti in borghese. Magari certi fenomeni, come lo spaccio di droga , non sono risolti ma la sicurezza è aumentata». Anche ai bagni pubblici (1 euro l’ingresso) Maria Privetta conferma: «Spesso passa anche la Polfer, si fermano e chiedono se va tutto bene». 
È la giornata di Verona - Milan, alcuni militari della Finanza prendono il caffè in attesa dei tifosi. La stazione non è l’inferno, né il paradiso. Ma oltre la linea bianca si estende la «terra di mezzo». Che per ora non ha un nome né regole.

 

Paolo Mozzo

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