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processo per vilipendio di cadavere

«Nessuna cura per la salma di mio figlio»: addetto alle celle mortuarie alla sbarra

In aula il dolore della madre di Marco Andreoli, morto in un incidente a 28 anni. Secondo l'accusa l'addetto trascurò il corpo
Marco Andreoli morì in un incidente a Bussolengo
Marco Andreoli morì in un incidente a Bussolengo
Marco Andreoli morì in un incidente a Bussolengo
Marco Andreoli morì in un incidente a Bussolengo

«Mi dicono che devo pensare a mio figlio felice, ma l’unica immagine che mi torna in mente prima di addormentarmi la sera è quella di lui, nella bara, in condizioni pietose». Sono le parole, strazianti, di Maria Mecenero, mamma di Marco Andreoli, un ragazzo di 28 anni morto in un incidente stradale il 21 agosto 2017 a Bussolengo.

Ieri, 13 ottobre, è stata sentita, in qualità di teste, nel processo a carico di C.G., 62 anni, di San Giovanni Lupatoto: l’uomo, dipendente dell’Azienda ospedaliera in servizio alle celle mortuarie, è accusato di vilipendio di cadavere.

Secondo la procura infatti, il giorno del funerale, il sessantaduenne avrebbe riposto la salma di Marco Andreoli nel feretro senza vestiti, solo con i boxer, «compressa dentro una sacca intrisa di sangue», invece di consegnarla agli addetti delle pompe funebri avvolta nei teli e riposta su una barella, come prevedeva il regolamento dell’Azienda ospedaliera.

Nel 2019 la famiglia di Marco ha presentato un esposto e l’inchiesta ha fatto il suo corso. Ieri, davanti al giudice Isabella Pizzati, la madre e il padre del giovane hanno raccontato quei terribili giorni: «Dopo l’incidente abbiamo chiamato le celle mortuarie per chiedere di vedere Marco, anche solo per cinque secondi. Ci hanno trattato in malo modo, dicendo che avremmo potuto vederlo solo un’ora prima del funerale».

Il peggio, però, è avvenuto proprio quel giorno. «Mentre stavamo raggiungendo Borgo Roma, abbiamo ricevuto una chiamata: ci hanno detto che Marco era “investibile“», ha raccontato la madre. «Quando siamo arrivati là, la porta era chiusa. Ho detto che volevo vederlo a tutti i costi e che avrei buttato giù la porta pur di riuscirci».

A quel punto, il personale delle celle mortuarie si è attivato e, in una decina di minuti, ha cercato di rendere presentabile il ragazzo, mentre all’esterno stavano arrivando amici e familiari per l’ultimo saluto. «Quando è arrivato il prete per benedirlo con l’acqua santa, la camicia che gli avevo stirato con tanto amore è diventata rossa, perché sotto il suo corpo era ancora sporco di sangue», ha raccontato la mamma di Marco.

«È questa l’ultima immagine che mi resta di lui e che mi viene in mente quando mi addormento. Starei sveglia sempre, non dormirei mai».

Per la difesa, sostenuta dall’avvocato Giuliasofia Aldegheri, non sussistono però i presupposti di reato. Tra le parti in causa, anche l’Azienda ospedaliera, citata come responsabile civile (difesa Galli Righi). Il processo è stato rinviato a febbraio.

Manuela Trevisani

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