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Maltrattamenti

Otto anni di soprusi, minacce e insulti: marito violento in carcere

«Di galera ne ho già fatta abbastanza e non ho alcuna paura di tornarci, ho contatti con la criminalità organizzata», le ripeteva ogni volta che lei cercava di allontanarsi
Il carcere di Montorio
Il carcere di Montorio
Il carcere di Montorio
Il carcere di Montorio

Per come si è comportato, a partire dal 2016, con la moglie diventata poi la madre di suo figlio, la cabala napoletana lo assocerebbe al numero 71. Ora è in cella su disposizione del gip Luciano Gorra che, accogliendo la richiesta della Procura, ha ritenuto che la custodia cautelare in carcere fosse l’unica in grado di comprimere l’indole violenta dell’indagato, un italiano di 33 anni, i cui «accessi d’ira esacerbati dalla dipendenza da alcol e droga non appaiono in altro modo contenibili».


Controllo su tutto

Maltrattamenti l’accusa, comportamenti che negli anni sono diventati sempre più violenti e in grado di minare la serenità familiare al punto da diventare un «codice rosso». Perché l’indagato, oltre a fare uso di sostanze associate all’alcol, la considerava di sua proprietà e al suo totale servizio.

Ogni giorno, infatti, la obbligava a portarlo in giro in auto, anche durante il periodo di gravidanza (considerata a rischio), perché lui non ha la patente. Il piccolo nacque prematuro e diede a lei la colpa. Ma non modificò il comportamento: le controllava il telefono, criticava il modo di vestire, la obbligava a fare quello che lui voleva minacciando di lasciarla da sola con il neonato. E ad ogni rifiuto seguivano insulti e offese.
Non voleva che lei lavorasse a meno che non trovassero un’occupazione nel medesimo posto (così poteva controllarla) e ogni volta che lui veniva licenziato, perché incapace di sostenere i ritmi (beveva e faceva tardi) obbligava lei a dimettersi.

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Prevaricatore

«Di galera ne ho già fatta abbastanza e non ho alcuna paura di tornarci, ho contatti con la criminalità organizzata», le ripeteva ogni volta che lei, stanca di subire, cercava di allontanarsi. «Sei solo mia e non ho problemi a usare violenza per trattenerti» e la obbligava ad avere rapporti sostenendo che se la donna non li gradiva significava che aveva un amante. E le diceva che se lo avesse scoperto lo avrebbe «mandato su una sedia a rotelle».

Esercitava il controllo anche sul tempo che la donna impiegava a rientrare a casa dopo essere andata a prendere il bimbo a scuola, si presentava ubriaco alle feste degli amichetti del figlio, non si andava a casa a pranzo e a cena, preferendo trascorrere il tempo al bar, a bere. Ma pretendeva che lei gli consegnasse le chiavi dell’auto e in febbraio, di fronte al rifiuto della moglie, iniziò a smontare i mobili lanciando tutto in aria. E fu il figlioletto a supplicare la mamma di accontentarlo così «non rompe più nulla». Ora non può più farlo.

 

 

Fabiana Marcolini

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