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«La bomba d’acqua del 2010 oggi non creerebbe i maxi danni»

Il governatore Luca Zaia fa il punto sull’emergenza e gli aiutiPopolazioni colpite Una donna spala il fango in una strada di Faenza
Il governatore Luca Zaia fa il punto sull’emergenza e gli aiutiPopolazioni colpite Una donna spala il fango in una strada di Faenza
Il governatore Luca Zaia fa il punto sull’emergenza e gli aiutiPopolazioni colpite Una donna spala il fango in una strada di Faenza
Il governatore Luca Zaia fa il punto sull’emergenza e gli aiutiPopolazioni colpite Una donna spala il fango in una strada di Faenza

L’8 novembre del 2010, con gli stivali di gomma ai piedi e la tuta della Protezione Civile infangata, era con l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Monteforte d’Alpone. Sugli anfibi dei Vigili del Fuoco entrava ed usciva dalle case, dalle scuole, dalle fabbriche e dai negozi allagati. L’acqua era arrivata a due metri d’altezza. Le strade erano fiumi. Il paese non aveva più la sua fisionomia. La gente era disperata. Un drammatico dejavu, presidente. Tredici anni fa centinaia di Comuni veneti, dall’est Veronese fino a Vicenza e Padova, erano in ginocchio come oggi l’Emilia Romagna. Cosa non ha funzionato stavolta? Ricordo benissimo quei giorni, rivivo la stessa angoscia assistendo al dramma dei nostri confinanti. In Veneto ci siamo già passati, e non una sola volta. Dopo l’alluvione del 2010 ci sono state nel 2018 la tempesta Vaia e nel 2019 l’Aqua Granda nel 2019. Il dramma umano, i pianti della gente, il senso di precarietà e di impotenza, la paura di non riuscire a rimettersi in piedi, i danni miliardi sono gli stessi che abbiamo avuto noi nel 2010. Una lezione l’abbiamo imparata: allora come oggi e come accadrà ancora in futuro, abbiamo tutti capito che i conti con la natura, per quanto l’uomo possa tutelarsi, non sempre tornano. Oltre un certo limite, lei vince sempre. La lezione più importante i Veneti l’hanno portata a casa: era urgente realizzare imponenti opere idrauliche per non finire più sott’acqua. A che punto siamo? Sì, certo, abbiamo subito risposto in modo efficace. Ma non basta. È innegabile che interventi di prevenzione ne abbiamo fatti tanti, fin dal giorno dopo, costruendo i bacini di laminazione. La nostra situazione nel 2010 era peggiore di quella romagnola: avevamo 235 Comuni alluvionati per lo sfondamento di 32 argini, 10.040 imprese e famiglie sott’acqua e, purtroppo, tre morti. Abbiamo programmato un piano di lavori da 2 miliardi e 700 milioni: ad oggi abbiamo realizzato 327 opere per 2 miliardi e 100 milioni, a cui vanno aggiunti i 2.500 cantieri per sistemare i danni della tempesta Vaja. Ma ripeto: non possiamo avere la certezza che oggi il Veneto sia sicuro al cento per cento. Lo è di più rispetto al passato, ma nessuno dorma sonni tranquilli. Perchè? Perchè su 18mila chilometri quadrati di estensione della regione, abbiamo 1.800 chilometri quadrati ad alto rischio idrogeologico. Come si fa a mettere al sicuro un’area così grande? Se da noi fosse caduta la stessa pioggia che ha allagato l’Emilia Romagna, saremmo finiti di nuovo sott’acqua? Reimpostiamo la domanda: se fosse caduta la stessa pioggia che nel 2010 ha alluvionato oltre 200 paesi, grazie alle vasche di sfogo dell’acqua realizzate nel frattempo, oggi probabilmente non avremmo gli stessi catastrofici effetti: gli argini non sarebbero esplosi. Non posso parlare per l’Emilia Romagna perché non conosco le zone colpite, né le opere messe a difesa del territorio. Le critiche al suo collega Bonaccini passano dal confronto con il Veneto: se avesse investito sulla sicurezza del territorio come ha fatto lei, la situazione sarebbe meno drammatica. Ma per carità, non mi piacciono questi confronti. Anch’io 13 anni fa sono stato criticato e non ho gradito, per cui rifiuto questa logica del dito puntato. Non faccio l’avvocato difensore ma soprattutto l’accusatore di nessuno. Posso solo portare la nostra esperienza: noi ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo realizzato dieci bacini - tra i tanti quello a Monteforte, a Montecchia di Crosara, a Caldogno - e altri tredici sono in costruzione, quasi pronti. Che sì, se potessimo riavvolgere il nastro e tornare alla notte del 31 ottobre del 2010, ci avrebbero salvato. Se però la stessa bomba d’acqua di 13 anni fa cadesse oggi in collina creando frane incontenibili, saremmo nelle stesse tragiche condizioni di quella notte: le vasche non servirebbero a nulla. Ripeto, contro la potenza della natura, quando si scatena nelle forme più violente, l’uomo può fare poco. Se non è possibile evitare del tutto i disastri ambientali, c’è almeno una via per garantire economicamente gli alluvionati nel post-disastro? La politica deve dare risposte. Quando ero ministro dell’agricoltura, proposi una polizza nazionale contro le catastrofi per la tempesta. Dal momento che i disastri idrogeologici sono ormai una costante - dal 2020 sono stati già 53 in Italia con 257 vittime - io credo che sia arrivato il momento di correre ai ripari. Lo Stato trovi il modo di siglare una assicurazione nazionale di natura mutualistica sulla base del principio “l’assicurabile non è indennizzabile“. Perché è ovvio che chi abita al secondo piano di una palazzina, non si metterà mai al riparo dal rischio allagamento che invece è concreto per chi vive al piano terra. Oltre a questo, servirebbe un vero e proprio Piano Marshall, come dopo la guerra. Si parla di danni incalcolabili in Emilia, bisogna che il Governo trovi subito le risorse per permettere la ripartenza. La stima è di 8 miliardi, tanto servirebbe per la ricostruzione. I fondi Pnrr possono essere lo strumento giusto? Al Veneto sono stati riconosciuti 96 milioni per la sicurezza ambientale. Noi del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza non lasciamo nulla sul tavolo, il Veneto non perderà nemmeno una risorsa. Detto questo, mi spingo oltre. C’è un vulnus: gli amministratori devono abituarsi a progettare opere che non vedranno realizzate, ma che è loro dovere avviare. Io ho lavorato per le Olimpiadi ma so che non sarò io al taglio del nastro: se avessi guardato solo al calendario, alla durata della mia carica, non avrei messo in piedi niente, come qualcuno fa. La grande difficoltà, diciamo la verità, è che le opere anti-dissesti costano troppo e richiedono tempi lunghi: bisogna ragionare con una prospettiva di almeno 10-15 anni. E questo spaventa. Posso dire, per esperienza, che i decenni passano in fretta. E che oggi, grazie al coraggio di 13 anni fa, il nostro territorio è un po’ più sicuro. Mai del tutto perchè, lo ripeto, contro natura si può fare fino a un certo punto. Il Veneto come sempre è in prima linea anche per l’Emilia Romagna. Ha parlato al presidente Bonaccini? Sì, il contatto è continuo. Siamo giù dal primo giorno con 300 volontari della Protezione Civile a cui si sono aggiunti anche 50 uomini dell’Ana. E’ il minimo che potessimo fare. E’ un popolo eccezionale. Li riteniamo, oltre che vicini di casa, nostri fratelli e non li abbandoneremo. •.

Camilla Ferro

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