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il delitto di bovolone

Uccise la madre a coltellate dopo un rimprovero: Bissoli condannato a 24 anni

La Corte d’Assise ha ritenuto l’imputato capace di intendere e volere, il pm Ormanni aveva chiesto il carcere a vita. Indegno a succedere ma dovrà risarcire le due figlie
Paolo Bissoli con i carabinieri mentre esce dalla casa della madre
Paolo Bissoli con i carabinieri mentre esce dalla casa della madre
Paolo Bissoli con i carabinieri mentre esce dalla casa della madre
Paolo Bissoli con i carabinieri mentre esce dalla casa della madre

Ventiquattro anni. Gli hanno concesso le attenuanti equivalenti all’aggravante (l’avere ucciso la madre), e la Corte d’Assise presieduta da Raffaele Ferraro (Francesca Cavazza giudice a latere) ha condannato Paolo Bissoli a una pena inferiore a quella prospettata dal pubblico ministero Federica Ormanni.

Al termine della requisitoria, per l’uomo di 62 anni che il 21 luglio 2021, a Bovolone, accoltellò Maria Spadini di 80 anni, aveva chiesto il carcere a vita. È stato dichiarato interdetto in perpetuo da qualsiasi ufficio, indegno a succedere e dovrà risarcire le due figlie (parti civili con gli avvocati Anastasia Righetti e Anna Lotto) versando loro 50mila euro a testa. Ma sulla capacità di intendere e volere al momento del fatto, argomento sul quale il suo legale, Giorgio Paraschiv ha incentrato la difesa, la Corte non ha avuto dubbi.

Quel giorno Bissoli, attualmente detenuto nel carcere di Vicenza, accoltellò la madre che lo aveva ripreso perché aveva versato il caffè sul fornello.

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La furia omicida dopo un rimprovero

«Voi vedete le immagini, io ero sul posto e mi ha impressionato l’ordine quasi maniacale con cui la vittima teneva la casa», ha esordito il pm. «Era perfetta, i letti rifatti al punto che ho pensato che non avesse nemmeno dormito, che potesse essere stata uccisa la sera prima». Quel rimprovero scatenò la reazione in Bissoli che da vent’anni non lavorava, che eccedeva con l’alcol, «che di fatto viveva su un divano eppure non veniva da un ambiente disagiato, ha una buona dialettica e avrebbe potuto lavorare mentre invece era la moglie a mantenere la famiglia». Ne ha descritto il carattere, quello di un uomo che perdeva il controllo se contraddetto «e per la quiete la moglie lo ha assecondato».

La ricostruzione dell'accusa

Fino a quando, esasperata, ha denunciato i maltrattamenti e lui è stato allontanato. «Va dalla madre ma non cambia stile di vita, non chiede aiuto, la madre riesce ad attenuare l’abuso di alcol ma solo perché non gli da denaro per acquistarlo», ha proseguito nella ricostruzione. Lei era una donna energica che, come è emerso dalla deposizione del medico di base, «lo portava in palmo di mano, sosteneva che il figlio non avesse problemi di alcol» e che era la nuora a inventarsi ogni cosa.

La moglie per anni è stata il «cuscinetto» tra lui e le ragazze, per proteggerle, e lo ha fatto fino a quando ha potuto, fino a quando lui non ha oltrepassato il limite (Bissoli è a processo anche per maltrattamenti e per altri abusi).

«Quello lui che dice è significativo per stabilire la capacità, la consulenza di parte ha parlato di una lesione fronto-temporale che non gli consente di frenare gli impulsi, un problema neurologico che il dottor Bacciga ha considerato arrivando però a stabilire che non ha minato in alcun modo la capacità di intendere e volere. Dopo il rimprovero la accoltella due volte e, interrogato per ore, alla fine ha ammesso ”non ne potevo più”. C’era la volontà, la lucidità e la consapevolezza: si procura un alibi, mente su tutto. Non è una vittima, nemmeno di sé stesso».

La difesa

«Paolo Bissoli si vuole presentare meglio di come è perché ha un problema mentale ma vive in mezzo alla gente e sa che non è adeguato», l’incipit dell’avvocato Paraschiv. «I danni sottocorticali sono rilevati da un neurologo, la materia grigia è sostituita da materia inerte. È vero, smette di lavorare nel 2000 e iniziano i ricoveri in psichiatria. Alla malattia mentale si aggiunge l’abuso di alcol e nel tempo più abusa più c’è danno e non riesce ad inibire le sue pulsazioni. Ha tentato il suicidio perché non gli andava il compagno di cella e questo comportamento si lega con la ricostruzione effettuata dall’esperto della difesa, cioè che il danno cerebrale biologico gli impedisce di controllarsi».

Ha puntato sul ragionevole dubbio: «Anche il dottor Bacciga afferma ”come perito non si può dire che è una persona pienamente capace ma (la capacità) non è grandemente scemata”. Dal 2019 è andato avanti e indietro dall’ospedale per fenomeni di depressione, per problemi incancreniti da 20 anni». E ha concluso chiedendo, in subordine il riconoscimento della semi infermità. Richiesta non accolta, ma condanna ridotta.

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Fabiana Marcolini

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