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Il giallo

Presa la banda del sequestro di Valeggio: stavano appiccando un incendio

Saranno interrogati domani mattina, in videoconferenza, le cinque persone (quattro uomini italiani e una donna di nazionalità albanese), arrestate dai carabinieri il 24 settembre durante un tentativo di incendio nell’entroterra gardesano.

E sarebbero gli stessi che il 26 agosto sequestrarono per otto ore G.B., 46 anni residente a Castelnuovo, ritornati nel Veronese forse per chiudere il conto con la vittima. Quattro sono in carcere a Montorio, L.B., bresciano del 1969, R.B, 55 anni di Manerbio, L.C., classe 1988 di Montichiari e infine E.T. 30 anni e originaria dell’Albania (il collegio difensivo è composto dagli avvocati Tommasi, Favazza, Porta e Bonomelli). In carcere a Vicenza è invece detenuto un quinto indagato e tutti comunque non possono comunicare con nessuno fino all’udienza di convalida che sarà celebrata dal gip Luciano Gorra.
Un rapimento che non è ancora stato completamente chiarito, che per alcuni versi apparirebbe come una sorta di «vendetta» o comunque una punizione per uno sgarbo ma in ogni caso caratterizzato da estrema violenza e attuato, come sottolinearono gli investigatori, da professionisti.

 

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La vittima, come detto, venne prelevata per strada alle 10 del mattino nei pressi dell’hotel degli Ulivi, in località Fontanello, mentre alla guida della sua Ford si stava dirigendo verso Valeggio.
Stando alla ricostruzione, effettuata dapprima sugli elementi raccolti sul luogo del rapimento (alcuni bossoli di pistola e una macchia di sangue) e poi sul racconto del sequestrato (ritrovato a Solarolo, nel Mantovano, sotto choc, gambizzato e picchiato senza pietà), una delle due auto dei banditi con tanto di lampeggiante, forse la Bmw, aveva superato l’utilitaria della vittima, costringendola ad accostare sul ciglio della strada mentre l’altra l’avrebbe affiancata con l’uso di una paletta in uso alle forze dell’ordine e sarebbero stati esplosi i colpi di pistola.
G.B. ricoverato in ospedale a Mantova raccontò di non aver mai visto in faccia i suoi sequestratori perché al momento del rapimento avevano il volto coperto da un passamontagna, e di essere stato incappucciato per tutto il tempo. Non li aveva sentiti nemmeno parlare.
Una volta sceso dall’auto gli avevano bloccato i polsi con le fascette di plastica, quelle usate dagli elettricisti e lo avevano costretto a salire su una delle loro auto. Al magistrato, il dottor Alberto Sergi che lo interrogò in ospedale, raccontò di essere stato poi portato in un luogo stretto ma di non aver idea di dove fosse. 
Il fatto di essere stato bendato fin dall’inizio gli aveva completamente fatto perdere il senso del tempo e dell’orientamento, ma una volta «scaricato» era stato picchiato senza pietà al volto, più volte all’addome con tale violenza da riportare la frattura di alcune coste.
Non poteva difendersi o evitare i colpi perchè era legato e non sarebbe riuscito a spiegare nemmeno al pm la ragione di tale brutalità. 
Tornando al momento del sequestro su quella stessa strada stava transitando un furgoncino e uno dei rapitori costrinse il conducente a cambiare direzione.
Fu un azzardo perché l’uomo diede l’allarme e in pochissimo tempo tutta la zona venne presidiata dai carabinieri. Il testimone indicò anche la direzione presa dalle auto e poiché la zona è al confine con il Mantovano lo spiegamento di forze con posti di blocco lungo le strade fu imponente.
Otto ore dopo, nel tardo pomeriggio, i sequestratori decisero di scaricarlo sul bordo di una strada di campagna (e probabilmente era già stato ferito di striscio alle gambe) a Solarolo di Goito, a qualche centinaio di metri da un posto di blocco.

Fabiana Marcolini

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