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prevenzione

Disagio giovanile: «La scuola? È una sentinella». E al Giorgi si ritirano i cellulari

La dirigente: «Misura non punitiva ma agevola la partecipazione»
La dirigente Irene Grossi davanti alla cassettiera dove i ragazzi depositano i cellulari
La dirigente Irene Grossi davanti alla cassettiera dove i ragazzi depositano i cellulari
La dirigente Irene Grossi davanti alla cassettiera dove i ragazzi depositano i cellulari
La dirigente Irene Grossi davanti alla cassettiera dove i ragazzi depositano i cellulari

Gli episodi più recenti sono tutti avvenuti al di fuori delle aule, ma il fenomeno che riguarda la delinquenza minorile è spesso connesso al disagio sociale e all'abbandono scolastico, entrambi accentuati dalle restrizioni dovute alla pandemia. Ecco allora che la scuola, ripartita in presenza e con misure di sicurezza meno ferree, diventa a pieno titolo uno dei luoghi dove si possono cogliere i sintomi e intervenire prima che la «bolla nera» allontani i ragazzi dalla realtà.

«La cosa importante», come sottolinea il neo presidente dell'Associazione nazionale presidi di Verona, Piergiorgio Sartori, «è che gli istituti siano attrezzati con le professionalità giuste, psicologi, educatori e counsellor che possano dare una mano nel contrasto e recupero della povertà educativa. Per questo i fondi del Pnrr distribuiti alle istituzioni scolastiche per combattere la dispersione dovranno essere destinati necessariamente anche al potenziamento di questi servizi».

Le attività per migliorare le relazioni in classe

Se non tutte, tante scuole – specialmente secondarie di secondo grado – stanno facendo i conti con il disorientamento dei ragazzi, con le difficoltà relazionali e i disturbi del comportamento più marcati di un tempo. Dopo due anni difficili l'adolescenza è diventata ancora più dura da sopportare, così le realtà scolastiche che sentono di averne il bisogno programmano attività per migliorare le relazioni in classe, eventualmente coinvolgendo anche il corpo insegnante e le famiglie.

Gli esempi non mancano. Nei giorni scorsi il liceo Maffei ha promosso tra i docenti e i genitori un incontro con lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, che dirige il più grande centro di ascolto per adolescenti di Milano, la Fondazione Minotauro, e al disagio giovanile ha dedicato il volume «L'età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti», pubblicato nel 2021.

«Siamo nell'ambito di una serie di iniziative di riflessione e confronto che il liceo vorrebbe realizzare riguardo il complesso vissuto degli adolescenti, spesso segnato da profonda sofferenza e disagio». «Che il malessere dia come esito delle forme di aggressività, non lo percepiamo tra i nostri ragazzi. Ma che emerga in maniera più urgente di un tempo, questo sì», afferma il dirigente scolastico Roberto Fattore.

Smartphone vietati in classe

«Alla base del disagio che avvertiamo negli alunni c'è sicuramente anche il problema di convivere in maniera pacifica. Per questo, in accordo con le famiglie, abbiamo deciso di vietare l'uso degli smartphone in classe, per ora limitatamente agli alunni di prima e seconda, più avanti anche per quelli di terza e quarta», dice Irene Grossi, preside dell'istituto professionale Giorgi. Non si tratta di una misura punitiva, precisa la dirigente, e infatti i dispositivi non vengono sequestrati.

«Invitiamo i ragazzi a riporli in cassettiere singole che poi vengono chiuse a chiave per questioni di sicurezza. Un collaboratore scolastico consegna la chiave al docente dell'ultima ora, il quale procede a far ritirare i cellulare ai ragazzi in ordine alfabetico. Ci stiamo rendendo conto che questa iniziativa aiuta e che quando devono lavorare assieme, gli studenti sono più partecipi». Il rientro in presenza dopo il lockdown e la Dad è stato impegnativo, conferma Grossi, e ogni giorno a scuola si avvertono la difficoltà dei ragazzi a riprendere un ritmo di vita più regolato, la fatica a rimanere concentrati, l'insofferenza per le norme di vita comune. «A volte ci sembra che i ragazzi abbiano perso il senso della misura. Ma come abbiamo spiegato loro, queste regole servono per fare buon uso della nostra libertà, non per limitarla. E i genitori ci hanno ringraziati», commenta la dirigente. 

Laura Perina

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