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Nessun risarcimento alle famiglie

I 369 medici morti per Covid: da eroi a dimenticati

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Una terapia intensiva
Una terapia intensiva
Una terapia intensiva
Una terapia intensiva

Sono 369 i dottori morti per Covid, in Italia, dall’inizio della pandemia ed oltre la metà sono medici di famiglia. Di questi, cinque (compresi due odontoiatri) sono veronesi. Garantire un ristoro a tutte le loro famiglie sarebbe stato un segno di rispetto. E invece il Senato ha detto «no». Un’occasione persa, un segnale di riconoscenza mancato. «Porrò la questione al ministro della Salute Speranza ed ai presidenti delle commissioni Sanità e Affari sociali perché l’emendamento cassato a Palazzo Madama venga riproposto in un altro contesto», è l’amaro commento di Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici (Fnomceo), «questa è totale mancanza di rispetto prima verso chi è morto nell’assolvimento del proprio dovere e dopo verso mogli e figli rimasti vedove e orfani. Nella tragedia della perdita, ricordo che molti di questi nuclei sono perdipiù monoreddito e ora in difficoltà».

I medici di famiglia - ecco il busillis in cui s’è perso il Parlamento - non sono dipendenti del Sistema sanitario nazionale e le loro famiglie non sono indennizzabili da parte dell’Inail in virtù di un regime assicurativo diverso. Il sub-emendamento che prevedeva un contributo di 100mila euro per ciascuna vittima - proposto prima in legge di bilancio e poi in sede di conversione del decreto legge 221/21 sulla proroga dello Stato di emergenza - è caduto in Senato proprio durante la conversione. «E’ una bocciatura che non trova giustificazione», continua Anelli, «perché ciò che conta, al di là dei lacci e lacciuoli della legge, è il risultato: non avere trovato l’escamotage e i fondi per poter dare un ristoro, anche simbolico oltre che economico, alle famiglie di questi colleghi, è come avere dato loro uno schiaffo in faccia».

Questi 369 sanitari hanno perso la vita soprattutto nelle prime fasi della pandemia quando hanno combattuto a «mani nude», in un contesto in cui mancavano mascherine, guanti e i più elementari dispositivi di protezione. Non si sono risparmiati, sapendo di essere a rischio. «È giusto che ora il Paese», commenta Carlo Rugiu presidente dell’Ordine dei medici di Verona, «riconosca il loro sacrificio e provveda a quanti sono rimasti a ricordarli».

«Il Parlamento rifletta», è la tirata d’orecchi di Anelli, «questa è una bruttissima pagina della politica italiana». «Siamo passati dal chiamarli eroi all’oblio», aggiunge Giulio Rigon, presidente della Fimmg veronese (Federazione dei medici di medicina generale), «è una vergogna. Questi sono professionisti morti per infortunio sul lavoro: si danno ristori a tutti, alle attività che vivono di turismo piuttosto che alle imprese, in generale a chiunque sia stato messo in ginocchio dalla pandemia, ma alle famiglie di chi è deceduto curando i pazienti, no. E’ drammaticamente vero: lo Stato riconosce il mancato profitto economico e lo rifonde, non le vite perse». E Rugiu: «Sia chiaro, non è faccenda da svilire a livello di soldi, è piuttosto mancata la sensibilità da parte delle istituzioni verso operatori sanitari che si sono sacrificati sul campo nell’assolvimento del proprio dovere. Non è un bel segnale». Dagli applausi all’abbandono. 

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Camilla Ferro

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