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Il racconto

Il 62enne fra i primi ad essere curato con le monoclonali: «Sono stato quasi subito meglio»

Turrini riceve la prima flebo con anticorpi monoclonali a Borgo Roma
Turrini riceve la prima flebo con anticorpi monoclonali a Borgo Roma
Turrini riceve la prima flebo con anticorpi monoclonali a Borgo Roma
Turrini riceve la prima flebo con anticorpi monoclonali a Borgo Roma

«Sto meglio, anzi sto bene. Dopo il trattamento con gli anticorpi monoclonali mi è andata via anche la febbre, che avevo da qualche giorno». Sono incoraggianti le parole di Gelmino Paolino Turrini a quattro giorni dalla terapia anti-Covid a base di anticorpi monoclonali alla quale il 62enne bovolonese ha accettato di sottoporsi all’ospedale di Borgo Roma.

È stato il primo, assieme a un altro paziente veronese di 66 anni, ad ottenere l’infusione dell’innovativa cura contro il virus - l’ha resa famosa l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump - avviata martedì 16 marzo in Veneto e poi partita in tutta Italia.

 

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Paolino Turrini ha trascorso i giorni dopo l’infusione al telefono a causa del picco di notorietà dovuto ai servizi pubblicati sui giornali e andati in onda su molte televisioni locali e nazionali. Erano in tanti a chiedergli informazioni, curiosi di sapere l’efficacia ma in primo luogo gli eventuali effetti collaterali della nuova terapia.

Turrini è molto conosciuto nella cittadina del mobile: è infatti presidente da otto anni della sezione delle Acli ed è anche a capo della sezione Unitalsi, l’Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e in altri santuari, che è attiva da oltre 40 anni nel Comune della Bassa. «In famiglia», racconta Turrini, «la prima ad essere risultata positiva è stata mia moglie, quindi abbiamo effettuato tutti un tampone. In un primo momento io le mie due figlie eravamo risultati negativi. Mentre una delle due ragazze è stata ospitata da un’amica, io e l’altra figlia di 23 anni siamo rimasti in casa mentre mia moglie era in isolamento in una stanza». «Quando ci siamo sottoposti ad un secondo tampone al termine della quarantena di mia moglie», continua Turrini, «anch’io e mia figlia siamo risultati a sorpresa positivi. Lei era asintomatica, io invece non stavo male e avevo qualche linea di febbre che non andava via».

Un elemento, quest’ultimo, che ha allarmato il medico di base che conosce il quadro clinico del 62enne. «Sono stato contattato martedì mattina dalla mia dottoressa», confida Turrini, «che mi ha chiesto se poteva segnalare il mio nome tra i pazienti da sottoporre alla cura con gli anticorpi monoclonali poichè sono un soggetto con elevati fattori di rischio. Ho dato subito il mio consenso e nell’arco di poche ore sono stato contattato dall’ospedale veronese di Borgo Roma. Erano ancora in attesa del farmaco e mi hanno detto che mi avrebbero richiamato appena arrivava». «Dopo pranzo», conclude il paziente zero del trattamento monoclonale, «ho ricevuto un’altra telefonata dall’ospedale che mi convocava subito nel reparto di Malattie infettive per sottopormi all’infusione. Ho ricevuto tutte le istruzioni, sono salito in macchina e una volta a Verona ho avuto accesso a un’area riservata. E da lì ho ricevuto le indicazioni per raggiungere il reparto senza avere contatti con nessuno. Poi, alle 14.30, è iniziata l’infusione» Un’esperienza positiva, insomma, per Turrini, un veterano dei barellieri, che dal 1975 si reca in pellegrinaggio a Lourdes. È stato anche promotore di campagne di autofinanziamento per garantire la possibilità di un viaggio della speranza a pazienti e volontari che non riescono a sostenere la spesa del trasferimento. In tutti questi anni, Turrini ha saltato il viaggio in Francia solo un paio di volte per gravi motivi familiari e ha collezionato 40 pellegrinaggi. Ora è pronto a ripartire, dopo due anni di stop forzato dal Covid, non appena la pandemia lo renderà possibile. E questa volta «per una speciale preghiera di ringraziamento alla Madonna». •

Roberto Massagrande

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