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Vajo dell'Orsa: nel canyon del Baldo

La scalinata che supera in piena parete la falesia di accesso al santuario
La scalinata che supera in piena parete la falesia di accesso al santuario
Vajo dell'orsa (Mafrici)

Trentaquattro metri di lunghezza per 24 di altezza massima: poca cosa per i “cacciatori” di ponti tibetani, sempre alla ricerca dell’attraversamento-record da immortalare in un selfie o su Instagram. Nel vajo dell’Orsa, però, le misure non contano, perchè qui è l’ambiente a dare le carte e a fare la differenza. E che differenza.

Anche d’inverno, quando i colori sono più spenti, andare alla scoperta della forra del Rio delle Pissotte, scavata da un ramo dell’antico ghiacciaio dell’Adige e dall’erosione fluviale, è un’escursione che merita il viaggio, anche se la portata d’acqua adesso è inferiore a quella primaverile ed estiva, ben più significativa.

Il nuovo ponte tibetano, costruito nel 2020, aggiunge un po’ di pepe a questo itinerario comunque mai banale. Il viaggio è breve, visto che Brentino è a una manciata di minuti dal casello autostradale di Affi. E il giro ad anello si percorre in meno di quattro ore, senza correre. Insomma, mezza giornata da spendere bene. Dimenticavo: la bicicletta va lasciata a casa. Brentino è la base di partenza dei pellegrini che vogliono salire al santuario della Madonna della Corona, incredibilmente aggrappato alla parete rocciosa che domina dall’alto la parte finale della vallata delle Pissotte, sul versante atesino del monte Baldo.

Il percorso, giustamente famoso e molto frequentato, affronta il bellissimo Sentiero della Speranza (o del Pellegrino), lungo due chilometri e mezzo per 600 metri di dislivello, che parte dalla zona alta del paese con una lunga scalinata. I gradini sono il «marchio di fabbrica» del tracciato: se ne devono salire oltre 1.700 per arrivare al santuario. Un bell’allenamento, che dev’essere affrontato - per una buona parte - anche da chi vuol raggiungere il vajo dell’Orsa.

Si parte. La salita è graduale e alterna strappi a traversi più tranquilli. Fatta la deviazione (obbligata) per la croce, con bell’affaccio sulla Val d’Adige, si continua a salire nel bosco, trovando ad un certo punto un tratto attrezzato ma comunque facilissimo, fino a raggiungere la base delle rocce che segnano l’inizio del tratto più suggestivo del percorso, scavato a scalini nella roccia, che permette di superare la parete verticale che sbarra il nostro cammino.

Una volta superata questa spettacolare scalinata rocciosa, in breve si arriva al bivio segnalato per l’Orsa, come la chiamano gli appassionati di canyoning, sempre numerosi d’estate in questa forra che è lunga cinque chilometri. Fino all’incrocio un’ora circa. Volendo, in 20 minuti si può arrivare alla Corona che è sopra la nostra testa (deviazione consigliatissima) e in un altro quarto d’ora tornare al bivio per il vajo.

Si scende a destra (segnalazioni) su sentiero esposto, ma ben protetto da un cavo d’acciaio, al quale si possono agganciare i meno esperti muniti eventualmente di un kit da ferrata. Diciamo che, ora che è stato opportunamente allargato e reso più sicuro rispetto al passato, il cavetto ancorato ai paletti di acciaio si può usare come corrimano senza problemi. Ma chi soffre di vertigini è meglio che valuti con attenzione il passaggio in anticipo.

Questo tratto comunque è davvero bello e traversa, in discesa e poi a saliscendi, tutta la parete che incombe sopra le nostre teste. Ad un certo punto si comincia a sentire la presenza del torrente che scorre nella profonda gola sotto di noi e, accompagnati dallo scrosciare delle acque, ci avviciniamo senza più problemi al ponte tibetano, che permette di scavalcare la forra, evitando quello che era a suo tempo il tratto secondo me più insidioso del percorso: uno scivoloso canale e un altrettanto delicato costone roccioso, teatro in passato di incidenti.

Conviene comunque arrivare fino a dove la rete impedisce il passaggio (punto panoramico), per poter fotografare le famose Pozze della luna, due spettacolari vasche naturali di roccia. Oltre il ponte si traversa in leggera salita costeggiando il torrente (sinistra idrografica) e le sue cascatelle fra marmitte e toboga naturali che invitano a una sosta fotografica. Poco oltre il sentiero torna a salire con decisione fino a un bivio segnalato. Consigliata la breve deviazione a sinistra per malga Orsa, l’oasi montanara cantata dal poeta Bruno Castelletti (Bruno da Orsa), immersa fra i pascoli e circondata da belle pareti di roccia, sotto il passo della Crocetta.

Un luogo abbandonato (la malga è pericolante) e malinconico, che a me ispira nonostante tutto grande serenità, e mi fa pensare ogni volta alla dura vita di chi abitava tutto l’anno questa sperduta contrada. Dalla malga, volendo, si può salire a Ferrara, le cui case si intravedono su uno scoglio roccioso, con le creste del monte Baldo a chiudere l’orizzonte. Noi torniamo indietro fino al bivio segnalato (ma si può tagliare anche subito per prati) e imbocchiamo il sentiero che ci riporterà a Brentino.

Il tracciato attraversa il bosco in piano e in leggera discesa fino alla condotta forzata della centrale idroelettrica di Brentino, che sfrutta le acque del Rio Bissolo, con la piccola diga di Ferrara e dopo un salto-record di 540 metri di dislivello. Sul Baldo l’acqua è sempre merce rara, per la natura carsica della montagna. Il versante atesino è un po’ più ricco di torrenti dalla portata variabile e il Rio Bissolo è sicuramente quello più significativo, come conferma la presenza del vecchio impianto idroelettrico e di alcuni mulini, ormai trasformati in abitazioni. Il sentiero si abbassa a gradoni tra le rocce (scivoloso, attenzione), sul fianco sinistro della montagna, allontanandosi dalle condotte e calando con numerosi tratti ripidi e rocciosi fino a una stradina cementata, si scende a destra e, seguendo i segni biancorossi, tenendo sempre la destra si ritorna a Brentino. L’anello si può percorrere anche in senso inverso, ma la salita dal Sentiero della Speranza per me resta la più interessante.

Claudio Mafrici (claudio.mafrici@larena.it)

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