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Tibet, Madonnina, Carega: la triade del «Pojesi»

Sulla vetta del Carega
Sulla vetta del Carega
Tibet, Madonnina, Carega: la triade del «Pojesi» (Mafrici)

Il bello del Carega è che ci puoi salire sopra da tutti i versanti, e da tre province: non a caso, quindi, è una delle cime più amate e frequentate delle Prealpi Venete. Fra i numerosi itinerari che raggiungono la vetta (2.256 m), quello che percorre i canaloni della Costa Media, che si affacciano sulla trentina Val dei Ronchi, è sicuramente uno dei più suggestivi e interessanti, impegnativo quanto basta ma non troppo difficile, a patto di avere la necessaria attrezzatura, e cioè imbragatura, kit da ferrata e caschetto. Serve anche un minimo di esperienza di montagna, considerati i numerosi tratti esposti, anche in punti privi di attrezzatura.

I passaggi più tecnici sono limitati ma da non prendere sottogamba, specie alla fine, quando si è più stanchi. L’ambiente vale davvero la pena: a me ricorda un po’ quello delle Grigne (fatte le debite proporzioni). Di certo è un sentiero che regala soddisfazione per il suo sviluppo e la cresta finale. Il percorso, realizzato alla fine degli anni Settanta e dedicato ad Angelo Pojesi, già presidente della sottosezione del Cai «Cesare Battisti», è un itinerario attrezzato piuttosto lungo, che dal passo Pertica sale alla Cima Tibet e da qui, per la via delle creste, fino al rifugio Fraccaroli e alla cima del Carega. L’attrezzatura non è continua, e ci sono lunghi tratti di normale sentiero, e parecchi su e giù. Lo sviluppo dell’itinerario è notevole, con alcuni tratti un po’ faticosi. Il kit da ferrata è necessario, anche se in alcuni punti il cavo di acciaio è più un corrimano che altro; in ogni caso meglio utilizzarlo, insieme al casco, fondamentale per evitare possibili incidenti, visto che si muovono molti sassi in salita. Anche per questo, il Pojesi è meglio non farlo in discesa.

Si parte dal rifugio Revolto (1.336 m), che si raggiunge in auto risalendo la Val d’Illasi fino oltre Giazza. Il primo tratto ci porta al rifugio passo Pertica (1.530 m) su sentiero e poi su strada militare. Poco sopra il Revolto si trova la croce in ricordo di don Domenico Mercante, il parroco di Giazza che venne catturato dai nazisti in ritirata il 27 aprile 1945, insieme a un soldato tedesco ritenuto un disertore, Leonardo Dalla Sega. I due vennero portati ad Ala attraverso il passo Pertica e poi fucilati vicino a Pilcante. Al passo si seguono le indicazioni per il Pojesi e ci si trova in un attimo ai piedi delle imponenti pareti della Costa Media. Sono partito con tempo incerto, insieme ai miei amici Enrico e Berardo, riuscendo nell’impresa di beccare l’unico giorno brutto delle ultime settimane. Ma forse è stato meglio così: con il sole a piombo il caldo si sarebbe fatto sentire non poco su queste rocce. Secondo me, il Pojesi è un percorso più tardo estivo o autunnale, certamente non invernale per il rischio di valanghe, e poco primaverile per la presenza insidiosa di neve nei canaloni.

Con vari tratti attrezzati e numerosi saliscendi, si attraversa il primo tratto, roccioso e poi ghiaioso. Si perde quota, e poi si deve risalire. Quindi si torna a scendere in un’altra valle per poi tornare a faticare in salita. Attenzione ai tratti di ghiaia, che sono numerosi, fastidiosi e anche pericolosi per le possibili scariche di sassi che si possono innescare. Ripeto, niente di davvero impegnativo per chi ha confidenza con i percorsi attrezzati, ma una bella avventura in un ambiente caratterizzato da pareti e guglie che rendono il Pojesi un itinerario speciale, ideale per avvicinarsi alle ferrate.

Verso la fine la fatica si fa sentire e l’ultimo diedro ben attrezzato, e a tratti verticale, si fa sentire sulle braccia. Poi, finita la ferramenta, si prosegue in salita fino a una forcelletta che si affaccia sul versante occidentale del Carega. Si continua in salita fino ad arrivare sulla cresta e in un attimo a destra si è a Cima Tibet (2.098 m), che rappresenta il primo traguardo di giornata. Sbucati sul crinale, noi siamo stati accolti da un fresco vento che ci sparava la pioggia in faccia. Manna di questi tempi, ma troppo poca per dissetare il terreno asciutto. Dalla cima si percorre la facile cresta risalendo fino alla vicina Cima Madonnina (2.140 m), dove il panorama si apre decisamente verso il vallone di Campobrun e le Prealpi. Il Carega non è lontano, e il bel tracciato della Costa Media ci porta senza troppa fatica a un altro passo, oltre il quale si vede finalmente il rifugio Fraccaroli. In breve si arriva al rifugio, e in cinque minuti si raggiunge la panoramica sommità del Carega, che regala grandi panorami anche in un giorno non bello.

Dopo una opportuna sosta per mangiare qualcosa, si torna a valle lungo il sentiero 108B che si abbassa verso malga Campobrun e poi sbuca sulla strada militare fra il Pertica e lo Scalorbi. Volendo, quest’ultimo rifugio si può raggiungere agevolmente andando a sinistra al bivio con il sentiero che scende da Cima Madonnina. Arrivati sulla strada è stato sorprendente l’incontro con due camosci «confidenti», che senza paura si sono avvicinati a noi, regalandoci qualche bella fotografia. Non sono quelli «domestici» che si incontrano sulle creste del monte Baldo, ma anche qui questi ungulati sembrano ormai non temere la presenza dell’uomo. Si prosegue sulla strada a tornanti fino al rifugio Pertica (altra sosta, volendo), e quindi giù al Revolto (ancora chiuso) per chiudere un bellissimo giro, che richiede circa sette ore di cammino, ha uno sviluppo di oltre tredici chilometri e un dislivello di 1.100 metri.

Claudio Mafrici

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