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Civetta, la cattedrale delle Dolomiti

Una delle montagne-simbolo delle Dolomiti: la Civetta (al femminile), con la sua «parete delle pareti», alta oltre un chilometro e larga quattro, è una ciclopica cattedrale di roccia che sovrasta Alleghe
Sul primo tratto del sentiero Tivan (Mafrici)
Sul primo tratto del sentiero Tivan (Mafrici)
Monte Civetta (Mafrici)

E venne il giorno della Civetta. Il celebre romanzo di Leonardo Sciascia, però, in questo caso non c’entra nulla. Perché qui si parla di montagne, più esattamente di una delle montagne-simbolo delle Dolomiti: la Civetta (al femminile), con la sua «parete delle pareti», alta oltre un chilometro, e larga quattro, una ciclopica cattedrale di roccia che sovrasta Alleghe, con verticali costole di dolomia che qualcuno ha paragonato alle canne di un colossale organo. Insomma, uno spettacolo assoluto.

La vetta non è la più alta delle Dolomiti: con i suoi 3.220 metri si piazza solo al nono posto in questa speciale classifica di colossi di roccia, preceduta dalle due punte della Marmolada (Punta Penia, 3.348 m, Punta Rocca 3.309 m), da Antelao (3.264 m), Tofana di Mezzo (3.245 m), Tofana di Dentro (3.238 m), Punta Ombretta della Marmolada (3.230 m), Tofana di Rozes (3.225 m) e Cristallo (3.221 m). Ma è certamente fra le vette più iconiche (dicono quelli bravi) delle Dolomiti. E la provincia di Belluno, quindi il Veneto, in questa classifica fa il pieno assoluto: fra le prime 25 vette dolomitiche, 14 sono interamente bellunesi e 6 in “comproprietà” con Trento o Bolzano.

Pronti, via! Si parte dalla Val di Zoldo, percorso più accessibile

Ma torniamo alla Civetta. La salita da Alleghe, e cioè dall’Agordino, è solo per pochissimi. Tutti gli altri partono dalla parallela Val di Zoldo, che espone il versante più articolato della montagna, forse meno spettacolare, ma che offre le vie di accesso più frequentate. Che sono due. In genere, si sale dalla ferrata degli Alleghesi e si scende dalla via normale (o dalla ferrata Tissi). E questo era il progetto, mio e del collega Enrico, che il giro lo aveva già fatto molti anni fa.

Quindi, partenza da Palafavera (1.525 m), fra Pecol e Forcella Staulanza, ai piedi di un altro colosso dolomitico, il Pelmo (3.168 m), che da qui svetta massiccio e solitario di fronte alla Civetta: la regina e il re. Dal rifugio Palafavera si sale lungo la stradina di servizio agli impianti di sci, che più sopra diventa la pista di collegamento fra Alleghe e Val Zoldana (d’estate percorsa anche dalle mountain bike). Arrivati a malga Pioda (1.829 m), si prende a sinistra la mulattiera per il rifugio Sonino al Coldai (2.135 m), che si raggiunge in 50 minuti senza correre. Fin qui, in tutto, un paio d’ore.

Dal rifugio Sonino il saliscendi lungo il sentiero Tivan

Dal rifugio (dove è opportuno pernottare), si segue il sentiero Tivan (557) che a saliscendi percorre l’intero versante sudorientale della Civetta. Panoramico sulla Val Zoldana, il tracciato si sviluppa ai piedi delle spettacolari pareti rocciose della Torre Coldai, della Torre di Alleghe e della Torre di Valgrande. Se il versante agordino della Civetta è iconico (alla sua base corre l’Alta via n. 1 delle Dolomiti), quello zoldano è davvero selvaggio e imponente. Avverto subito che il Tivan è un sentiero non elementare, con numerosi tratti esposti e saltuariamente attrezzati, e con una ripida ferratina che è aggirabile su un sentiero che in discesa ho fatto fatica a considerare «facile». Diciamo che la segnaletica andrebbe di molto migliorata. O meglio, basterebbero dei cartelli ai bivi e non le scritte sulle rocce che non sempre si notano.

E così io ed Enrico, che eravamo stati i primi a partire dal rifugio Coldai, non ci siamo accorti che allo Schenal del Bech si doveva tenere la destra. Al ritorno la scritta rossa su un masso «ferrata alleghesi» ci è apparsa chiaramente. Ma non all’andata. Non abbiamo alzato la testa. E così siamo erroneamente scesi nella Busa del Zuiton (mal consigliati anche da una svampita guida alpina tedesca), fino al bivio con il sentiero che sale alla Crepa Bassa dalla Casera Grava, in pratica all’inizio della via normale per il rifugio Torrani e per la vetta.

Ferrata a tratti libera: vietata a chi soffre di vertigini

Digerito in malo modo l’imprevisto, per non perdere altro tempo abbiamo scelto di seguire il tracciato della normale, risalendo faticosamente un ripido ghiaione fino alle rocce basali della Civetta (2.350 m). Qui iniziano le attrezzature che risalgono la parete, e che alternano tratti di ferrata a tratti liberi, proibiti a chi soffre di vertigini o di «gambe molli». La salita, segnalata con bolli rossi, non è tecnicamente difficile (1° e 2° grado al massimo), ma presenta molti tratti che vanno affrontati con la massima cautela, vista l’esposizione e la roccia non sempre compatta.

Si sale per una fessura e poi per canali fino al cosiddetto passo del Tenente, una placca inclinata attrezzata ed esposta, con un passaggio sotto roccia, che si attraversa fino a un gradino (non molto simpatico in discesa) che permette di accedere alla cengia che traversa verso destra, risale delle roccette e arriva ai piedi di un camino-fessura attrezzato, con un tratto decisamente esposto.

I cavi proseguono poi a zigzag per un tratto, quindi più nulla. Su tracce di sentiero, fra roccette e ghiaie, si risalgono altri gradoni e canalini, con numerosi punti delicati (attenzione in discesa), si traversa verso destra e poi si risale a sinistra fra le rocce dell’incombente parete fin sotto al Piano di Tenda. Un ultimo tratto attrezzato ci deposita sul sentiero sotto lo spartano rifugio Maria Vittoria Torrani (18 posti letto), che si raggiunge in pochi minuti. Siamo a 2.984 metri, il panorama è grandioso (e in molti si fermano quassù a dormire per ammirare alba e tramonto), la cima è a una quarantina di minuti.

Ultimo tratto risale i gradoni della pala finale. E la fatica si fa sentire!

Lo spartito in ogni caso non cambia: dopo un tratto attrezzato si risalgono i gradoni della pala finale, su tracce di sentiero, ghiaie e roccette. La fatica si fa sentire, ma ormai la Civetta è nel sacco. E in vetta si apre davvero il mondo. Siamo circondati da una incredibile distesa di appuntite vette, vicine e lontane: tutte le Dolomiti ovviamente, con Pelmo e Antelao protagonisti insieme a Tofane, Gruppo del Sella, Sassolungo,  Marmolada ma anche Adamello-Presanella, Ortles-Cevedale, e poi le cime innevate delle Aurine, quelle delle Alpi Friulane, con il piramidone del Triglav che buca le nebbie all’orizzonte. La giornata splendida ci permette di godere di un panorama eccezionale, e solo le nubi basse impediscono la vista della Laguna di Venezia.

Sulla cima, immersi nella bellezza. Difficile decidersi a scendere

Sul versante opposto si apre il baratro della parete nordovest, alta fino a 1.200 metri, e il lago di Alleghe appare là in basso, piccolo piccolo. Meglio non sporgersi. Sulla cresta nord, sotto la croce, spuntano gli alpinisti impegnati sull’ultimo tratto della «Alleghesi».

Immersi in una simile grande bellezza, è difficile decidersi a scendere. Anche perché, lo sappiamo, la discesa sarà più delicata della salita. Ci agevola il fatto di averla già percorsa ma, a costo di ripetermi, ricordo di nuovo che non va sottovalutata e che non è banale.

La salita dal rifugio Coldai richiede circa quattro ore e mezza, e altre cinque servono per ritornare fino a Palafavera (sono 1.800 metri abbondanti di dislivello in discesa). Una giornata intensa, ma che non si dimentica più.

 

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